image_pdfVersione PDFimage_printStampa

Il più grande test di giornalismo generato da una macchina realizzato dalla BBC fino a oggi”. Alle ultime elezioni in Gran Bretagna i 700 articoli sui risultati nei vari collegi elettorali li ha scritte un robot. Uno sforzo produttivo “che non sarebbe mai stato possibile con i giornalisti”, spiega Robert McKenzie, il direttore dei BBC News Labs. La macchina ha inserito in un template nomi e numeri di vincitori e sconfitti, legandoli tra loro con una struttura narrativa e un linguaggio programmati secondo lo “stile BBC”.
Un esperimento utile a capire come potrebbe cambiare il giornalismo e quale spazio avrà quello di servizio pubblico.
Il giornalismo dei robot sta già rivoluzionando il lavoro delle agenzie di stampa a carattere finanziario. Un terzo dei lanci di Bloomberg utilizza già una qualche forma di automatismo tecnologico. Grazie ad Automated Insights l’Associated Press produce ogni trimestre 4400 news su report finanziari. A proposito dell’applicazione dell’Intelligenza artificiale nelle redazioni il New York Times ha parlato di ascesa del robot reporter. E in Cina si sta già immaginando di sostituire gli anchorman, i conduttori dei telegiornali, con una figura creata dagli algoritmi. Una tecnologia che ricorda quella utilizzata per produrre i video deepfake, contro i quali il Wall Street Journal ha creato una vera e propria task force anche di giornalisti.
Un mese fa mi è capitato di mostrare in un’aula universitaria il celebre video fake su Barack Obama realizzato dal regista Jordan Peele: nessuno lo aveva mai visto e, soprattutto, nessuno ha intuito si trattasse di un falso. Il che conferma che essere un millennial o un post-millennial non significa essere digitalmente esperto e che nell’era del deepfake il giornalismo forse può avere ancora un senso.
Già, ma quale giornalismo?
L’esperimento della BBC conferma che le news sono ormai diventate una commodity. Notizie legate ai risultati elettorali, agli eventi sportivi, alle informazioni di Borsa, alle previsioni del meteo presto potranno essere fornite solo dalle macchine, che lo faranno con più precisione, più rapidamente e a costo zero. Perché la BBC dovrebbe pagare dei giornalisti per un compito che un bot può svolgere meglio e più in fretta?
Se per giornalismo di servizio pubblico si intende quello generalista, il minimo comune denominatore dell’informazione, allora quello lo serviranno gli algoritmi, gratuitamente, come già stanno facendo le piattaforme di Facebook e Google.
Per sopravvivere il giornalismo dovrà cambiare, reinventarsi e non siamo nemmeno sicuri sarà sufficiente. Come ha scritto benissimo Mario Tedeschini Lalli, “il giornalismo professionale è e sarà sempre di più una nicchia, una nicchia che potrà distinguersi solo per autorevolezza e perché fornisce contenuti di qualità diversa, cioè contenuti prodotti secondo un metodo diverso”. Un giornalismo umile, che controlla, verifica, spiega, anche utilizzando la tecnologia, come nel debunking dei deepfake che diventeranno presto molto semplici da produrre, tanto che non crederemo più a niente. Il WSJ parla di “democratizzazione dei deepfake”: già oggi alcuni software open source consentono a chiunque con una qualche conoscenza tecnica e una scheda grafica sufficientemente potente di creare un deepfake. Le aziende editoriali del futuro dovranno diventare anche aziende tech.
Ora, facciamo anche noi un esperimento. Proviamo a immaginare le reazioni in Italia se la notizia della BBC avesse riguardato la RAI. Molti avrebbero gridato allo scandalo (“l’informazione di servizio pubblico lasciata ai robot”), altri avrebbero brindato alla tecnologia che rimpiazza la lottizzazione, altri avrebbero chiesto l’abolizione del canone, visto che l’azienda pubblica ha più di 1700 giornalisti, una decina di testate giornalistiche e, con la TgR, “la redazione più grande d’Europa”. Numeri dai quali partì il tentativo abortito di riorganizzazione dell’informazione RAI progettato da Carlo Verdelli, l’attuale direttore della Repubblica, che al tema ha dedicato anche un libro (“Roma non perdona). In quel libro Verdelli ricordava che la BBC è il primo sito di news in Gran Bretagna, mentre quello di Rainews nell’ultima classifica Audiweb è al 32esimo posto. Oggi della riforma dell’informazione RAI non parla più nessuno. Speriamo nei robot.

image_pdfVersione PDFimage_printStampa