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L’ALGORITMO COME TECNOLOGIA DI LIBERTÀ?

La pervasività della rete digitale, mentre ha accelerato l’esaurimento della  rivoluzione fordista, ha anche raccolto una irrefrenabile domanda di autonomia individuale che già (alla fine degli anni ’50) Adriano Olivetti intercettava quando definiva l’informatica come “tecnologia di libertà destinata a liberare l’uomo dalla fatica e dall’umiliazione del lavoro materiale”.
Una domanda di libertà che ha squassato codici professionali, gerarchie sociali ed economiche creando grande disorientamento, ma anche aprendo straordinari spazi di evoluzione per ogni progettualità individuale. Dal giornalismo alla finanza e alla medicina, dalla ricerca scientifica al governo della cosa pubblica e alle scelte di consumo individuali, la variabile che rompe equilibri e modifica comportamenti è un’inedita  possibilità di concorrere, condividere, controllare e partecipare ai processi decisionali – anche se a determinate condizioni di consapevolezza.
Le grandi corporation che oggi guidano i listini su tutti i principali mercati  del mondo quasi non esistevano solo 20 anni fa. Eppure oggi, nello zainetto di ogni giovane si trova un “bastone da maresciallo”: questa la grande differenza rispetto  al modello economico del ‘900. Ma quei gruppi, impugnando la bandiera della condivisione e del libero accesso alle risorse intellettuali, hanno paradossalmente costituito nuovi monopoli, che oltre a ridurre le opzioni e le alternative per ognuno di noi, concentrano con inusitata opacità ’tecnica’ la produzione di intelligenza.
Il tema che oggi ci sembra centrale riguarda la natura stessa del processo di riorganizzazione della vita sociale ed economica che prevalentemente ormai ruota attorno allo sviluppo e all’interscambio di prodotti cognitivi dell’intelligenza artificiale.
Nell’attuale fase che ci porta, grazie agli algoritmi, alla semplificazione delle procedure  digitali e all’automazione delle più delicate attività discrezionali, non crediamo accettabile che questo processo si realizzi senza trasparenza, informazione e partecipazione ai suoi dispositivi di funzionamento.
Se davvero, come affermano i loro creatori, dirigenti e proprietari, questi grandi gruppi sono ‘uno spazio pubblico’ – e noi crediamo che sia così – riteniamo che anche i loro meccanismi che producono linguaggi, strutturazioni sociali e influenze determinanti sulle scelte individuali, debbano essere intellegibili, condivisi, socialmente negoziabili ed integrabili.
Così come nella fase storica precedente, l’asimmetria nell’accesso e nell’organizzazione delle informazioni determinava uno squilibrio di poteri e di ricchezze, oggi la differenza nella capacità di riconoscere, modificare e integrare i sistemi intelligenti che formattano la nostra vita áltera, ma in proporzione infinitamente superiore, le condizioni di competizione economica e sociale.
Chiediamo con forza e determinazione che le imprese, le associazioni, le professioni e le istituzioni alle quali ciascuno di noi appartiene si rendano non soltanto pienamente consapevoli dell’impatto di questi soggetti digitali, ma agiscano per ridurre – anche e perché no? – insieme a loro, le distorsioni sui nuovi meccanismi e le nuove regole economiche, formative e relazionali.
Se la matematica è il linguaggio con il quale è possibile scrivere il libro della vita (Galileo Galilei), l’algoritmo (la formula che organizza azioni e processi che risolvano automaticamente un problema) ne è la sintassi contemporanea. Un ordine mentale ed espressivo che non può rimanere dominio esclusivo di poche e riservate élites o di organizzazioni chiuse.
DigiDig vi propone di condividere lo sforzo per aumentare consapevolezze e  competenze comuni per rendere più trasparenti, condivisi e adattabili forme e contenuti delle nuove potenze tecnologiche che ci circondano.
 
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