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Più di 200 dipendenti di Google stanno lavorando a app che identificano gli utenti e bloccano le ricerche di alcune parole chiavi. In un memo tutti i dettagli


Continuano i mal di pancia dentro Google per l’espansione dell’azienda nel mercato cinese. Dopo la lettera pubblicata dal New York Times in cui un gruppo di dipendenti si diceva preoccupato per un possibile uso distorto del loro lavoro in terra cinese, un nuovo memo interno crea dissapori fra la dirigenza e la truppa di Mountain View.
Il memo afferma che, al contrario di quanto detto ad agosto dal ceo Sundar Pichai per raffredare gli animi, il progetto Dragonfly, ovvero le mosse del motore di ricerca per entrare in Cina, non sarebbe in una fase esplorativa, ma avrebbe già una struttura vera e propria e a Mountain View è considerato una priorità.
La diffusione del documento è sfuggita di mano, mandando su tutte le furie le alte sfere di Google, fino a imporne la cancellazione a tutti i dipendenti che ne erano entrati in possesso.
Secondo il sito The Intercept, il documento riportava i dettagli del progetto Dragonfly: il motore di ricerca che garantisce la tracciabilità delle attività online degli utenti e che epura i risultati restituiti dal motore stesso, rimuovendo i contenuti poco graditi al Partito comunista e alle autorità governative in genere, oscurando tutto ciò che può inneggiare alla democrazia, al rispetto dei diritti umani e al diritto di protesta.
Il file identificava in 215 le persone coinvolte nel progetto stesso, uno stanziamento di risorse imponente e, dall’altra parte, certificava che del motore di ricerca è stato già sviluppato un prototipo per dispositivi Android e iOS, applicazione che può essere utilizzata dagli utenti solo previo accesso, quindi con l’obbligo di essere riconoscibili. Le app per dispositivi mobili associano le ricerche online ai numeri di telefono degli utenti, insieme ai loro indirizzi ip e alla cronologia dei link e dei siti visitati.
Tutte informazioni che vengono dirottate verso Taiwan, in un database a disposizione di un’azienda cinese dedita alla revisione e al controllo dei dati e che, in partnership con Google, ha anche il compito di aggiornare e mantenere la blacklist dei contenuti che il motore di ricerca non deve restituire agli utenti. Il prototipo delle app a cui ha lavorato Google prevede l’oscuramento dei risultati che contengono parole come “protesta studentesca”, “diritti umani” e “premio Nobel”.
Informazioni che tendono a smentire quanto detto dal ceo di Google, lasciando emergere il quadro di insieme di un progetto tutt’altro che embrionale.
(Foto: Chesnot/Getty Images)(Foto: Chesnot/Getty Images)
Un’ipotesi che preoccupa il ricercatore e attivista Patrick Poon: “È allarmante sapere che tali informazioni [i dati degli utenti, ndr] verranno archiviate e potenzialmente condivise con le autorità cinesi. Questo metterà a rischio la privacy e la sicurezza delle persone, Google deve essere più trasparente”.
Poon non teme solo gli effetti del progetto Dragonfly ma anche la mancanza di chiarezza con cui Google lo sta conducendo. La questione segretezza però è fondamentale e largamente diffusa, in Google come in molte altre aziende. Nel caso specifico BigG, così come riporta The Intercept, ha un ispettorato interno noto con il nome di stopleaks e che previene la divulgazione di notizie non autorizzate e di cui fanno parte persone provenienti dall’esercito e dalle agenzie governative americane, quindi con un passato di comprovata capacità.
Lo scorso mese di aprile 3mila dipendenti di Google hanno sottoscritto un appello affinché l’azienda rivedesse il progetto Maven, teso alla collaborazione con il Pentagono.
Il mercato cinese però sta diventando imprescindibile per tutte le aziende di qualsiasi provenienza e comparto, tant’è che Google lo scorso giugno ha investito 550 milioni di dollari in un progetto ecommerce in partenariato con il gigante cinese Jingdong Mall, concorrente diretto di Alibaba.

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