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L’Icaro di Henri Matisse non è un uomo, né un angelo: bozzetto goffo e nero che tenta di volare, è ritratto nell’attimo che precede la sua caduta, epilogo inevitabile nel mito pagano, dove non si fa cenno a quel punto rosso che l’artista gli ha dipinto al centro, là dove sta il cuore.
Una gigantografia del quadro campeggia in fondo al corridoio di un luogo che immaginiamo freddo e tetro, risuonante di imprecazioni e di chiavi dal metallo pesante. In realtà, i corridoi dei laboratori all’interno del carcere ‘Due Palazzi’ di Padova hanno i suoni caratteristici delle catene di montaggio delle biciclette che riforniscono alcune tra le aziende più importanti d’Italia; delle valigie Roncato che qui hanno una sede di assemblaggio; dei call center da cui i detenuti collaborano con l’Ospedale cittadino. Ma sono i profumi, quelli irresistibili a base di zucchero e di canditi, di uvetta e di moscato passito di Pantelleria, a stupirci e a conquistarci come può fare solo l’impossibile quando diviene realtà. I biscotti, i dolci e soprattutto i panettoni della Pasticceria Giotto dal carcere padovano sono ormai una celebrità premiata con i più importanti riconoscimenti del settore e commercializzata in tutto il mondo: presenti sulla tavola dei potenti del G8 nel 2009 e al pranzo di Natale del Presidente Napolitano, a Natale sono stati acquistati da Papa Francesco per collaboratori e autorità, così come faceva già Benedetto XVI. L’intuizione vincente di Officina Giotto, la cooperativa sociale che coordina i lavori all’interno del carcere, è semplice quanto rivoluzionaria: puntare non all’assistenzialismo ma alla qualità e all’eccellenza, per ottenere risultati all’altezza delle aspettative di mercato. Mirare alla persona, non al suo reato, e al lavoro, quello senza il quale ‘non c’è dignità’, come ha detto lo stesso Bergoglio, il Papa che ogni quindici giorni telefona ad alcuni detenuti in Argentina, mosso dalla riflessione: “Perché lui è caduto e non sono caduto io?”. La reclusione priva di rieducazione è un peso per i detenuti e per la società, un macigno di Sisifo che, scontata la pena, riporta l’ex detenuto al suo punto di partenza, ossia al reato, come testimoniano le statistiche sulla recidiva, e che si abbattono quasi completamente nel caso di detenuti inseriti in percorsi lavorativi. Modello da esportazione, la Pasticceria Giotto è stata progettata in un carcere minorile di Chicago, e alle sue attività si ispirano anche gli APAC, le carceri ‘dolci’ brasiliane senza armi né guardie, ad alto contenuto rieducativo. In tempo d’avvento, tra le mura del carcere di Padova si lavora affinché siano le colombe a prendere il volo in tutto il mondo in libertà: nel loro impasto non c’è solo la pasta madre e lo zucchero, c’è lo stupore dello chef che ha insegnato il mestiere e trasmesso la passione ai detenuti, e che dice “la cosa più bella è stata insegnare qualcosa a qualcuno che prima non aveva niente”; c’è l’ incredulità dei detenuti pasticcieri, di Andrea che dice “Io che ho fatto tanto male nella vita, mi sento rinato”, e di Martino, che ringrazia per aver ricevuto quella fiducia “che mi ha cambiato perché mi sono sentito di nuovo uomo”. “Perché dall’amore non si può fuggire” è la risposta di un pluriomicida ospite di un APAC in Brasile alla domanda “Sei già evaso 12 volte: perché non ci provi più? Da qui sarebbe più facile”. Attraverso la sua voce, la voce di uno degli ultimi, cogliamo le potenzialità di questo modello sociale che l’Italia promuove in America, e apprendiamo il senso più vero e profondo del messaggio racchiuso nell’incipit del salmo biblico: “Nel tuo grande amore cancella il mio peccato”.

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