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Non l’avevo mai fatto. Non ero mai rimasto sintonizzato su Rai Uno tutta la durata di una puntata di Sanremo, integralmente intendo, fino alla fine. Tutta. Il festival si guarda a spizzichi e bocconi, magari malavoglia, si leggono i commenti sui social, si ascolta in radio, certo, ma nella sua integrità non mi era mai capitato di guardarlo. Mai.

Acceso il tablet e lanciata l’app di RaiPlay, mentre entra Fiorello, la domanda che mi frulla in testa è se la batteria dell’iPad pro durerà tutta la durata della diretta, sarebbe una discreta prova. Il Sanremo Battery test.

No, non sono un fan del Festival e, ammettiamolo subito, rappresento la fetta di millennials che ricorda Fiorello a Sanremo più per la storia con Anna Falchi che per… e controllo su Wikipedia, “Finalmente tu” in gara nel 1995.

Sanremo è il Novecento, è la televisione a tubo catodico, è quella in bianco e nero, è la Prima e la Seconda Repubblica, la storia del Paese, bla bla bla… Quintali di inchiostro per elogiare il Festival della canzone italiana ma la domanda rimane.

Ma tutta una puntata intera devo sorbirmi? Sul serio?

Ognuno guarda il festival seguendo le proprie fissazioni: chi la musica, chi lo stile, chi la qualità dello sfuocato nell’inquadratura. Possibile che ancora le telecamere abbiano sei lamelle e i punti luce siano degli esagoni come i peggiori obiettivi zoom entry-level o i “cinquantini” anni Settanta e Ottanta. Sì lo so, è un commento assurdo, ma l’ho già detto non sono un tipo da festival e non ho commenti divertenti sul look o le canzoni, ma per questo, per fortuna, esistono i social network.

Continuo a seguire le evoluzioni canore dal tablet, la tentazione di smettere di guardarlo è forte, Sembra un secolo fa che Albano e Romina duettavano il loro singolo sul palco presentati dalla figlia. Perché sembra tutto una sagra di paese? Arriverà l’Hully Gully a breve?

Così fra un monologo tirato un po’ troppo per le lunghe e l’altro, il Festival prosegue verso la conclusione. L’orologio segna un quarto all’una e mancano ancora tre cantanti. Nemmeno su Internet si trovano più commenti sarcastici e divertenti con facilità. È tardi. Nel frattempo la batteria dell’iPad è arrivata al 50 per cento, una discreto test, sarebbe da proporre ad Apple.

Ho visto la prima puntata del festival, tutta insieme, senza interruzioni. Sarò più competente domani nelle discussioni a lavoro? Riuscirò a far battute ironiche migliori e strappar più risate in pausa caffè? I tweet, a Sanremo appena concluso, sono stati oltre 400mila. Basta una rapida scorsa per leggere battute divertenti e trovare meme da riciclare. Dai boomers che bofonchiano sulla tutina di Achille Lauro ai cattivisti che si lamentano dei monologhi sulla violenza delle donne… impossibile non trovare una battuta che non ci faccia sorridere o indispettire. La scelta c’è, senza ombra di dubbio.

Forse è proprio Twitter l’unico strumento che è rimasto a ricordarci che, da 20 anni ormai, il Novecento si è concluso. Nonostante Sanremo sia la più grossa fabbrica di nostalgia che esista in questo Paese, siamo in un nuovo millennio e per di più nell’epoca d’oro dei social network. Un mezzo utile, indispensabile come nessun altro per questo Sanremo. Sarebbe bastato leggere qualche cinguettio sopra le righe per aver la battuta pronta senza doversi sorbire quasi cinque ore di diretta.

Gli anni Ottanta e Novanta, facciamoci la pace, son finiti. E per quanto riguarda Sanremo non è detto che sia un male, anzi. Grazie ai social network anche se non guardiamo il festival possiamo sentirci comunque al centro della discussione. Un discreto risparmio di tempo. E per tutta la settimana basterà leggere gli hashtag più in voga per sembrare davvero esperti musicali.

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