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Fra i fattori chiave i bonus dei manager agganciati a parametri di lungo periodo e l’integrazione del piano di sostenibilità in quello industriale. I dati del tradizionale report Kpmg-Nedcommunity sulle dichiarazioni non finanziarie

Bonus dei manager e integrazione della sostenibilità nei piani industriali. Ecco quello che guardano i gestori di fondi (che investono soldi) e gli analisti finanziari (che suggeriscono come investirli) quando si trovano tra le mani la dichiarazione non finanziaria di una azienda quotata. Al netto delle discussioni su standard, metrica e tutti gli altri temi di dibattito sul tavolo delle authority di mezzo mondo, chi non vuole incorrere nel greenwashing verifica prima se il management crede o meno nel mondo Esg.

Sono dunque importanti e interessanti i dati che emergono dal tradizionale rapporto di Kpmg e Nedcommunity che hanno mappato le dichiarazioni non finanziarie (Dnf) di quotate e non quotate obbligate alla pubblicazione. La ricerca, giunta al terzo anno, ha analizzato le Dnf di 200 aziende; soltanto 13 sono i documenti redatti in maniera volontaria nonostante il pressing della Consob.Noi no: quindi abbiamo scritto in italiano il contratto, il sito e le bollette.Tu lo parli l’alienese?about:blank

Bonus sostenibili ma di breve periodo

Partiamo dalle remunerazioni. Il team di ricercatori ha realizzato un focus sul Ftse-Mib40, l’indice delle blue chip di Piazza Affari, quelle che fanno da battistrada per le altre quotate. Ebbene il 74% delle aziende Ftse-Mib definisce obiettivi specifici legati alla
sostenibilità: sembra dunque essere entrato anche nei bonus dei manager l’aggancio con l’ambiente e il sociale. Sembra però. Perché del gruppo di società che ha inserito i criteri Esg nelle remunerazioni, l’84% ha utilizzato parametri specifici ma di breve periodo. Se infatti annunci di voler tagliare le emissioni da qui al 2030 o al 2050, non puoi premiarti poi su un arco temporale di uno o due anni.

Gli indicatori a cui vengono agganciati i bonus dei manager, per il 28% sono legati all’impatto ambientale e per il 22% alla gestione del personale e alle diversità. Via via a scendere vi sono gli altri temi. Soltanto nel 6% dei casi, però, le remunerazioni sono legate al tema sociale (supporto alla comunità e sviluppo del territorio).

Integrazione nei piani industriali

Il secondo indicatore che consente di “contenere” il dilagante greenwashing è verificare se il piano sostenibilità sia integrato o meno nel piano industriale.

Dal rapporto Kpmg-Nedcommunity, si scopre che sono 34 (il 45%) le aziende ad aver realizzato tale integrazione, con un balzo del 140% rispetto al 2017. Poco, tanto? Certamente indicativo del dna di un’azienda. Senza dimenticare però che questi risultati sono stati raggiunti in breve tempo e che 105 aziende hanno comunque una strategia di sostenibilità e 76 hanno formalizzato un piano di sostenibilità strutturato.

Il confronto con i portatori di interesse (stakeholder)

Il nuovo codice di autodisciplina delle società quotate in Piazza Affari «sottolinea il ruolo
del consiglio d’amministrazione nel promuovere il dialogo con gli stakeholder, al fine
di perseguire il successo sostenibile», si legge nel report. Ecco quindi l’importanza del confronto con i portatori di interessi interni ed esterni.

E qui c’è qualche nota dolente. Il 93% ha coinvolto gli stakeholder nell’aggiornamento della materialità, ovvero dei temi considerati rilevanti per l’azienda: buono l’incremento dell’8% rispetto al 2018. Allo stesso tempo però è soltanto il 64% che ha coinvolto anche gli “esterni” in questo confronto con questionari, workshop e forum; nonostante un forte incremento (+53%) il coinvolgimento degli stakeholder esterni non riguarda ancora tutte le società obbligate alla Dnf. I feedback da comunità e consumatori sono invece fondamentali.

I trend

Quali sono allora i trend che si intravedono in base alla ricerca? «La terza edizione della survey – ha sottolineato Pier Mario Barzaghi, partner Kpmg – evidenzia un crescente impegno delle imprese italiane a contribuire al raggiungimento dell’Agenda 2030: 114 aziende del campione, +88% rispetto al 2017, hanno preso in considerazione gli impatti del proprio business sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), illustrando le azioni e gli obiettivi attraverso cui contribuiscono alla realizzazione dell’Agenda 2030. Nei prossimi anni ci aspettiamo un’ulteriore crescita di questo fenomeno con particolare attenzione anche ai processi di pianificazione».

Altra tendenza è quella di considerare la Dnf come un’opportunità e non un semplice obbligo. «Grazie all’ingresso dei temi Esg nei consigli d’amministrazione – ha dichiarato Patrizia Giangualano, consigliere indipendente e membro del consiglio direttivo di Nedcommunity – le aziende confermano il percorso intrapreso di progressiva integrazione, definendo sistemi di gestione dei rischi integrati e formalizzando le proprie politiche di gestione sui diversi ambiti considerati maggiormente rilevanti, trasformando la rendicontazione non finanziaria da obbligo di compliance a strumento di comunicazione del valore condiviso che ciascun business è in grado di generare e distribuire».

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