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Si è molto parlato, nelle ultime difficili settimane di pandemia di coronavirus, degli aiuti esteri ricevuti dalle nostre istituzioni. La parola aiuto è stata quella che maggiormente ha riempito le pagine dei giornali, anzi. Tra gli episodi più eclatanti, che hanno scatenato le attenzioni della stampa e diviso l’opinione pubblica, ci sono le spedizioni di personale medico e dispositivi mandate dalla Cina subito dopo l’inizio del lockdown italiano; il personale sanitario inviato da Cuba in Lombardia; i 30 medici e infermieri dall’Albania accompagnati dal premier Edi Rama in persona, e infine i nove voli militari provenienti dalla Russia con a bordo soldati e apparecchiature mediche. Molti di questi aiuti sono stati accolti in pompa magna direttamente dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, all’aeroporto militare di Pratica di Mare.

Nel racconto pubblico (e giornalistico) ha genericamente prevalso – soprattutto in alcuni casi – il frame della solidarietà internazionale: d’altronde di aiuti si tratta, no? A ben vedere, tuttavia, col proverbiale senno del poi – e alcune inchieste arrivate negli ultimi giorni – vale la pena allargare lo sguardo, per collocare le mosse di questi paesi nei loro contesti politici, che non sempre si sposano al meglio con la vulgata dello stato povero ma dal cuore grande.

I voli russi pagati dall’Italia

L’ex capo politico del M5s Di Maio si è ritrovato coinvolto in un’inchiesta de La Stampa secondo la qualeil costo dei voli dalla Russia sarebbe stato interamente pagato dal governo italiano. Il costo dei voli, secondo la stima più bassa possibile, sarebbe di almeno 500mila euro. Il Foglio, inoltre, citando una fonte militare italiana, ha sottolineato come i mezzi giunti a Pratica di Mare e poi fatti circolare nel territorio nazionale, in particolare in Lombardia, fossero eccessivi rispetto al carico effettivamente trasportato.

“La parte più pesante del carico trasportato dai nove Ilyushin-76 erano mezzi necessari per trasportare i soldati russi e i mezzi per la sanificazione, ma sono tutti mezzi di cui l’Italia già dispone in larga misura: era proprio il caso di trasportarli dalla Russia?”, ha chiesto retoricamente il direttore, Claudio Cerasa.

Garry Kasparov, ex campione mondiale degli scacchi celebre anche dissidente russo, oggi in esilio a New York, ha sottolineato come dietro quegli aiuti possano nascondersi intenzioni propagandistiche. “Quella è un’operazione militare e di intelligence, non certo un aiuto umanitario. Putin, inviando oltre 100 soldati in Italia, si era posto due obiettivi: vincere una campagna di pubbliche relazioni e al tempo stesso installare la propria intelligence sul territorio di un paese Nato” – ha spiegato lo scacchista sempre a La Stampa – “Putin sta affrontando la crisi globale della pandemia come una guerra ibrida, in cui si esporta instabilità in un momento di crisi per l’Occidente”. Una sorta di operazione propagandistica su larga scala, accolta con entusiasmo da partiti come il M5s o la Lega, che non hanno mai fatto troppo per nascondere il loro interesse per possibili alleati a est.

La recita del premier albanese Edi Rama

Un particolare momento di raccoglimento e sdilinquimento nazionale, lo scorso 29 marzo, è stato causato da un video – diventato rapidamente virale – del presidente Edi Rama, primo ministro dell’Albania. “Le sorelle e i fratelli italiani ci hanno ospitati e adottati in casa loro quando l’Albania bruciava di dolori immensi”spiegava il premier albanese con un discorso a effetto davanti alle telecamere della Rai con al suo fianco 30 medici connazionali in partenza per l’Italia, pronti ad affrontare l’emergenza Covid-19. L’Albania sta tuttora gestendo l’emergenza coronavirus in maniera sorprendente, con poco più di 600 positivi, 26 decessi e pochissimi pazienti in terapia intensiva. Ma il suo aiuto al nostro paese, arrivato nel momento più difficile della crisi, ha avuto un enorme valore simbolico: mentre l’Europa dei “paesi ricchissimi” (per usare le parole del premier) stentava a muovere un dito, la piccola Albania decideva di mettersi in moto.

Che quei 30 medici e infermieri albanesi siano, come si dice in questi casi, eroi non ci piove. Del presidente Rama però ha scritto bene Nicola Pedrazzi sul sito specializzato dell’Osservatorio Balcani e Caucaso: “Abilissimo nello sfruttare le debolezze del nostro giornalismo sugli esteri”, l’italofono ministro albanese Edi Rama è “un artista prestato alla politica”, ma anzitutto “un politico controverso, sia dal punto di vista della gestione del potere interno sia per quanto concerne la sua ambigua politica estera”. Oltre a non essere considerato uno stinco di santo (eufemismo) dalle opposizioni – che lo accusano di essersi intestato la spedizione umanitaria a cose fatte, dando un cappello istituzionale a un’iniziativa volontaria di carattere privato – Rama, secondo il giornalista esperto di Balcani Alberto Negri, avrebbe agito per puro interesse economico ed elettorale: “La popolazione albanese in Italia è di circa 500mila persone”, ha scritto Negri sul Quotidiano del Sud, “un quinto di tutta la popolazione albanese, che genera rimesse fondamentali per l’economia di Tirana”, cioè circa 130 milioni di euro nel solo 2017 (più, ovviamente, il sommerso). E quel quinto di albanesi che vivono al di là dell’Adriatico votano, nemmeno a dirlo.

C’è anche un precedente, e nemmeno troppo lontano nel tempo: nell’agosto del 2018, Rama è entrato a gamba tesa nella politica italiana, offrendosi di accogliere venti migranti della nave Diciotti, bloccata al porto di Catania dall’allora ministro degli Interni Matteo Salvini. La mossa anche allora è stata accolta da una commozione bipartisan e grossolane interpretazioni antropologiche, noncuranti del fatto che nessun asilante della Diciotti è mai arrivato in Albania e che il 100 per cento del carico umano di quello sbarco ha raggiunto la Francia, la Germania, il Belgio, quegli “indifferenti paesi europei” – già allora – che nel discorso politico del governo Conte I non avevano dimostrato il cuore e l’europeismo della piccola Albania.

L’Albania di Edi Rama ha da pochi giorni ottenuto l’apertura dei negoziati di adesione all’Ue, con il voto unanime al Consiglio europeo e il supporto diplomatico dell’Italia. In questa congiuntura internazionale favorevole, scrive Pedrazzi, “Rama è tornato a fare quello che meglio ha fatto negli ultimi sette anni di premierato: bucare l’attualità europea”. Con gesti che fanno parlare di lui in patria, e dimenticare la realtà del suo piccolo stato periferico, una democrazia fragile con un parlamento abbandonato dalle opposizioni – che si sono dimesse in massa – e il consenso interno molto basso.

La Croce rossa cinese

La diplomazia statunitense ha espresso preoccupazione per il fatto che la spedizione di massa di forniture mediche dalla Cina verso altri paesi abbia come scopo quello di estendere ulteriormente l’influenza cinese nell’Ue, il maggiore partner commerciale di Pechino.

Questa strategia, di per sé del tutto legittima, potrebbe tuttavia anche essere accompagnata da una vistosa attività di disinformazione, con il leitmotiv dei sistemi democratici che non sono in grado di proteggere i propri cittadini. Secondo un’analisi di Social Data Intelligence, quasi la metà dei post su Twitter pubblicati tra l’11 e il 23 marzo con l’hashtag #forzaCinaeItalia è opera di account automatizzati. E prodotto da un bot è anche oltre un terzo di quelli con l’hashtag #grazieCina. Laura Rosenberger, direttore dell’Alliance for Securing Democracy, ha spiegato come il governo cinese abbia mutuato dalla Russia diverse tattiche della disinformazione via internet con lo scopo di ripulire la propria immagine dopo i ritardi che hanno causato l’esplosione della pandemia a Wuhan.

Ma forse l’aspetto più preoccupante di questa campagna è che uno dei suoi volti principali, la Croce rossa cinese, è una consociata interamente di proprietà del Partito comunista di Pechino. Nelle scorse settimane, la ong ha fornito forniture e competenze mediche ad alcune delle nazioni più colpite dal Covid-19, come Spagna, l’Iran e anche l’Italia.

Il problema è che le ong come la Croce rossa cinese sono stati a lungo uno dei principali strumenti del Pcc, spesso creati e sostenuti dal governo, per dirottare la società civile. Questo patrocinio consente loro di espandersi rapidamente e di promuovere il loro marchio a livello internazionale. Enti di beneficenza privati con elevati standard di trasparenza non mancano in Cina, ma le ong come la Croce rossa cinese giocano con regole a parte, con cellule del partito al loro interno e un rapporto strettissimo con il Comitato centrale. Al tempo degli aiuti, tali entità aumentano a dismisura la loro portata.

Esagerate o no che siano queste ricostruzioni, il soft power di Pechino sembra funzionare. Secondo un recente sondaggio di Swg la popolarità della Cina è vertiginosamente aumentata nell’opinione pubblica italiana nell’ultimo anno, mentre la gli Stati Uniti e l’Unione Europea perdono terreno.

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