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Il tifone nelle Filippine e l’alluvione in Sardegna. Se due indizi fanno una prova allora abbiamo risolto il caso. I cambiamenti climatici, e l’avido sfruttamento del territorio e delle risorse naturali stanno distruggendo il pianeta e chiedono in cambio un prezzo davvero troppo alto: la perdita di vite umane. Dopo avvenimenti di questo genere portare ulteriori evidenze scientifiche a quanto detto sembra quasi superfluo, tuttavia, le cifre esistono e forse sono troppo spesso ignorate.
In una sorta di macabra coincidenza, l’ultimo rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) pone proprio l’attenzione sull’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, che va contro il benessere dei cittadini.L’Environmental Indicator Report 2013, appena pubblicato, mette in guardia circa l’insostenibilità dei consumi sul territorio del Vecchio Continente. Una tendenza ancora più pericolosa se guardata nel più ampio contesto di una crescente domanda di risorse a livello globale. Le pressioni ambientali associate ai nostri stili di vita sembrano essere in diminuzione, almeno entro i confini dell’Europa, tuttavia, consumiamo troppa acqua, terra, foreste e cibo. Per non parlare dell’impatto che l’energia e le costruzioni esercitano sull’ambiente e quindi sulla salute dei cittadini, minacciando soprattutto le fasce più deboli della popolazione. Il soddisfacimento dei nostri bisogni dipende troppo dallo sfruttamento del territorio. Un modello del tutto insostenibile sul lungo periodo. Ecco alcuni numeri.
Per quel che riguarda l’acqua, nonostante in Europa l’efficienza nell’uso e nella gestione di questa preziosa risorsa sia aumentata, restano Paesi come Italia, Malta, Cipro, Belgio e Spagna, in cui lo stress idrico è notevole. Altro problema sottolineato dai ricercatori è l’emergere di sostanze contaminanti, una grave minaccia per il benessere della popolazione. Si tratta principalmente di componenti chimiche presenti nei prodotti farmaceutici e cosmetici la cui pericolosità solo ora inizia a diventare evidente. Nonostante, poi, la riduzione di alcuni inquinanti, meno della metà delle acque superficiali in Europa registrano un buono stato ecologico.
Dal punti di vista dell’approvvigionamento delle risorse alimentari, i terreni agricoli sono diminuiti del 13% negli ultimi 50 anni. Ma nello stesso arco di tempo – udite, udite – la loro produttività è aumentata al 259%. Anche se questa produzione intensiva consente all’UE di essere in gran parte autosufficiente per le materie prime ed i prodotti principali come carne, latticini, cereali e bevande, gli effetti sono devastanti (ci permettiamo di ricordarlo ad Antonio Pascale, autore del libello “Pane e pace“). Perché questo risultato non è dovuto esclusivamente al potere della razionalizzazione dei metodi di produzione, ma anche all’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici. Che con un effetto a catena distruttivo hanno prodotto problemi ambientali persistenti, dall’eccesso di fosforo e azoto nelle acque (eutrofizzazione), all’aumento delle emissioni di gas a effetto serra.
Sul fronte energetico, i consumi non sono calati. Negli ultimi venti anni sono rimasti stabili a fronte di una produzione economica aumentata, nello stesso periodo, del 50%. Tuttavia, in questo campo, non è tanto importante sottolineare quanto consumiamo, ma grazie a cosa produciamo energia. E qui arriva la nota dolente. Sono, infatti, i combustibili fossili a farla ancora da padrone, con notevoli differenze tra i paesi dell’Unione. Un esempio su tutti: rappresentano il 96% dei consumi energetici nazionali a Cipro ma solo il 37% in Svezia. L’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico associato all’uso di combustibili fossili significa che essi sono la fonte energetica con il più alto impatto indiretto sul benessere della popolazione. Inoltre, la percentuale di biomassa bruciata per il riscaldamento domestico è aumentata del 56% tra il 1990 e il 2011, sollevando serie preoccupazioni per la salute. La mancanza di filtri nei bruciatori domestici significa che le famiglie sono ormai la principale fonte di emissioni di particolato nell’UE.
Infine, il rapporto si concentra sulle aree residenziali che, tra il 1990 e il 2006, in Europa sono aumentate quattro volte più velocemente rispetto alla crescita della popolazione, contribuendo alla frammentazione degli habitat naturali. L’efficienza delle abitazioni è in calo, ma allo stesso tempo, la relazione evidenzia gravi carenze negli sforzi europei per soddisfare le esigenze di risorse. Basti pensare che il 14% della popolazione europea non può permettersi di scaldare la propria casa, una quota che in alcuni paesi arriva a toccare il 40% dei cittadini.
Per ridurre le pressioni esercitate dall’uso delle risorse in Europa, la risposta dell’Agenzia è quasi univoca:predisporre una migliore pianificazione territoriale integrando diverse politiche. A fare la differenza è come un Paese decide di gestire il proprio patrimonio naturale. Si sottolinea come si debba andare verso la transizione ad una economia verde, definita come un sistema che faccia un uso ragionato del territorio ed allo stesso tempo salvaguardi il benessere umano. Soddisfare le nostre esigenze ad un costo ambientale molto più basso, in estrema sintesi.
 

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