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“Non ti parlo! Non vi parlo più, a nessuno, giornalisti, fotografi, a nessuno!”. Letizia Battaglia risponde al telefono dopo la decima o ventesima chiamata, per dire che non vuole rispondere.

Amareggiata. Infuriata. Ferita. “Da quattro giorni la mia vita è cambiata. A Palermo ora mi sento un’estranea. Forse lascerò il Centro internazionale di fotografia ai Cantieri cuturali della Zisa”.

Cosa è successo, le cronache lo hanno raccontato. Lamborghini, quella delle auto di lusso, le ha chiesto un servizio pubblicitario. Lei ha accettato. Il servizio è uscito martedì scorso in anticipazione su Facebook.

Ed è stato travolto da uno shitstorm sui social network. Violentissimo, feroce. Perché Letizia ha messo, in quelle foto, le “sue” bambine.

La campagna Lamborghini si intitola “With Italy, For Italy” ed è iniziata a luglio. Venti fotografi sono stati ingaggiati dall’art director Stefano Guindani, uno per ogni regione d’Italia, con il compito di incastonare le carrozzerie negli scenari del Bel Paese esaltandone, nel linguaggio un po’ prevedibile del marketing, “l’unicità e la bellezza, l’eccellenza, l’innovazione” eccetera eccetera.

Tra le firme ne spuntano alcune conosciute, Gabriele Micalizzi, Gabriele Galimberti, Fulvio Bugani, Simone Bramante… Ma la perla della collana è lei, la grande madre del reportage italiano, la cronista degli anni di sangue della mafia e della lotta alla mafia, la fotografa degli splendori e delle miserie di Palermo.

Ma anche la scrittrice visuale di un desiderio di riscatto e bellezza che per lei ha sempre avuto il volto delle sue bambine, fotografate con costanza, ruvido amore, e una empatia che ha risonanze profonde nella su stessa biografia, di Letizia. E là dove altri hanno svolto il compito in modo calligrafico (macchina colorata su scenari di bellezza), lei ha ci ha messo il suo mondo.

“Io gliel’ho detto a quelli di Lamborghini: io non faccio still life. Questa cosa la faccio con le mie bambine”. Le sue modelle hanno l’età liminare fra infanzia e adolescenza, vestono come le ragazzine che si vedono per strada. Negli spazi di una Palermo luminosa, entrano nell’inquadratura assieme alle auto.

E la polemica esplode. Scomposta, disordinata. Traboccante di attacchi personali, maldicenze, ingiurie sulla persona, la storia, il lavoro di Letizia Battaglia. Alimentata, in molti casi, da fotografi.

Alcuni punti di attacco sono del tutto ridicoli: la verginità dell’autore di reportage civili compromessa dal mercato (come se decine di grandi autori nella storia della fotografia non avessero mai fatto commissionati pubblicitari), la qualità estetica o tecnica delle immagini… “E chi lo dice? Una massa di ignoranti che non sanno andare oltre Photoshop”.

Ma una accusa è particolarmente bruciante: aver ceduto al cliché sessista “donne e motori”, e anzi, aver usato modelle minorenni. “Lolite! Hanno detto lolite!”, esplode Battaglia dall’altro capo del telefono, “Ma è lo sguardo degli uomini! Voi maschi… Ma le avete guardate, le mie fotografie? Le avete capite? No, caro, non le hai capite neanche tu! Bambine sì, le mie bambine, sono lì in primo piano, la macchina resta dietro, messa lì quasi senza significato. Le bambine guardano me, guardano il mare, non guardano l’automobile, lo capisci questo? Non sculettano davanti alla macchina, guardano me, sono con me…!”.

Lo aveva spiegato fin dall’inizio: “Palermo per me un è bambina” che “sogna e vuole crescere in un mondo sincero e rispettoso”. Non è bastato. Il sindaco Leoluca Orlando, nella cui giunta della “primavera di Palermo” Battaglia fu assessore alla vivibilità, ha chiesto il ritiro della campagna (pur ribadendo, in un secondo tempo, la sua stima per l’autrice). Lamborghini ha rimosso per ora le immagini dal suo profilo social. Ma “non voglio parlare di Orlando”, taglia corto Battaglia.

Però qualcosa si è spezzato, e adesso anche quello spazio di cultura fotografica che Letizia ha inventato dal nulla e gestisce da tre anni ai Cantieri culturali della Zisa è a rischio. “Il centro internazionale di fotografia… Fatica, impegno, preoccupazioni, spese, tre anni avanti indietro col mio mal di schiena, io a maggio faccio 86 anni, perché dovrei continuare a questo punto? Ti sembra una cosa decente quella che mi stanno facendo? Una volta noi donne ci lapidavano coi sassi, adesso coi social. E i colleghi? Proprio loro? Ho visto perfino un fotomontaggio con una Lamborghini al posto della macchina nella mia foto dell’assassinio di Piersanti Mattarella, ma è possibile questo? Basta, non voglio parlare più”.

No, non dovrebbe essere possibile questo. Non dovrebbe essere possibile, in una comunità civile, che l’attacco alla persona, la demolizione frustrata dell’autore celebre, sostituiscano qualsiasi altra possibile discussione, anche critica.

Era possibile e perfino auspicabile discutere su queste immagini. Chiederci ad esempio cosa accade quando una poetica d’autore, in questo caso le bambine-metafora, viene traslocata in un altro contesto discorsivo, quello della pubblicità, dove esistono potenti cliché che rischiano di cambiarne non le intenzioni, ma la lettura pubblica.

O di quali sono i rapporti di forza tra un committente e un autore, a chi appartengono veramente le scelte (Letizia aveva prodotto due serie, una in bianco e nero e una a colori, Lamborghini ha scelto il colore, ma se provate a convertirle in monocromo, qualcuno l’ha fatto, qualcosa cambia: i linguaggi visuali esistono…).

No, di questo ovviamente ora non si può più discutere serenamente, è stata fatta terra bruciata attorno alla ragione, e forse è stato bruciato anche il rispetto umano e civile per una grande interprete dell’immaginario dell’Italia contemporanea.

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