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Un’idea che unisce storia ed innovazione. Il Pr Museum, primo museo on line al mondo, risale al 1977 ma è solo nel 1996, con l’avvento di Internet, che davvero “apre i battenti”. Toni Muzi Falconi intervista Shelley Spector*, fondatrice ed anima del progetto.

Perchè hai deciso di dar vita al Pr Museum?
Giocavo con l’idea da tempo, ma la spinta decisiva è stata l’incontro con Eddie Bernays, che appoggiò il progetto interamente. Lo conobbi verso la fine degli anni ottanta quando entrambi insegnavamo all’Istituto per lo Sviluppo Professionale della NYU in collaborazione con la PRSA. Fu molto gentile e mi invitò a cena con Barry, mio marito e da sempre partner della mia agenzia, al Waldorf. Da quella sera diventammo grandi amici. Aveva già più di 90 anni e, da allora, lo visitammo almeno tre volte l’anno per registrare le sue memorie e fotografare gli oggetti storici della sua collezione. Qualche anno prima di morire, nel 1995, ci parlò di trasformare la sua casa in un museo che contenesse il lavoro di tanti pionieri delle Rp , incluso il proprio.
Allora non parlammo di Internet: era appena sbocciata. Ma gli promettemmo che avremmo creato un museo, anche se non avevamo idea di dove collocarlo fisicamente. Lo avremmo voluto facilmente accessibile a tutta la comunità professionale e i nostri uffici di New York erano troppo piccoli e limitati. Così, nel ‘96 abbiamo iniziato a caricare le immagini su Internet e ci siamo subito resi conto che stavamo per lanciare il primo museo on line del mondo. Alla fine del primo anno il sito venne premiato da USA Today come il ‘meglio della rete’.
Oggi il sito riceve 90 mila visite al mese, in larga parte dall’Europa e dall’Asia. Sono sicura che se Eddie allora avesse saputo quanto la rete avrebbe esteso l’accesso, ne sarebbe stato entusiasta. Era così interessato a condividere le sue cose con la comunità professionale. Se Internet fosse stata disponibile quando era ancora in vita, l’avrebbe sicuramente utilizzato per educare le imprese e le università del mondo intero sulla pratica e il senso delle relazioni pubbliche.
Eddie ci ha lasciato una ragguardevole collezione di manifesti, inviti, comunicati stampa delle sue iniziative più conosciute; copie della sua newsletter, Contact; autoritratti con Sigmund Freud, Enrico Caruso, Dwight Eisenhower; edizioni originali dei suoi libri e dei libri di chi lo aveva influenzato come Lippmann e lo stesso zio Freud, questi ultimi in edizione originale tedesca. Abbiamo anche riprodotto le lettere di ringraziamento di tutti coloro con il quali aveva lavorato attraverso il ventesimo secolo, da Henry Ford a Thomas Edison, da Eleanor Roosevelt a tutti i Presidenti degli Stati Uniti che si sono succeduti fino alla sua morte.
Per te qual’è l’aspetto più rilevante dell’eredità di Bernays?
La sua costante ricerca della ‘grande idea’ che potesse connettere il prodotto a una causa o comunque una questione più ampia e di maggiore attrazione. Ogni sua iniziativa declinava il valore del progresso – anche nei casi più discutibili, come le famose ‘torce della libertà’ per i produttori di tabacco.
Inoltre, la caratteristica che lo rendeva così efficace era il suo accesso diretto ai leader delle società sue clienti. Non c’erano molti direttori interni delle relazioni pubbliche allora, e i suoi clienti erano quasi sempre rappresentati dal top management. La ragione per cui riusciva ad essere così influente in grandi corporation come American Tobacco e Procter & Gamble era perchè trattava direttamente con e aveva la fiducia e il rispetto dei Ceo.
Era un ‘consigliere’ e non un manager di agenzia. Già nel 1919 aveva coniato il termine di ‘consigliere in relazioni pubbliche’ e credeva fermamente che i professionisti dovessero essere regolati come i medici e i legali. La sua definizione originaria di Rp sottolineava come fosse una scienza sociale, quale la psicologia e la sociologia. In nessun modo Bernays intendeva le Rp come uno ‘strumento comunicativo’. Come disse con efficacia Adam Curtis, regista di Century of Self, la famosa serie dellaBBC del 2002, Bearnays ha avuto un’influenza sulla cultura occidentale pari a quella che suo zio Freud ha avuto sulla psichiatria.
Cosa ti ha indotto a includere Arthur Page e poi gli altri ‘giganti delle Rp’ che via via hai aggiunto al PR Museum?
Uno dei miei client storici era la AT&T, dove Page era stato per molti anni direttore della comunicazione. Ha rappresentato una parte molto importante della nostra storia professionale, assai diversa da quella di Bernays. Volevo equilibrare la consulenza con il management, quindi Page era una scelta naturale. Anche gli altri, Carl Byor, l’afroamericano Moss Henrix e, più recentemente, Chet Burger sono, ciascuno a suo modo, icone di aree diverse della nostra professione.
Come mai nessuna donna?
Perchè fino a pochi anni fa nel nostro lavoro le donne non erano visibili! Perfino Doris Fleishmann, la fonte autentica di molte idee di Bernays e una scrittrice favolosa, non visitava i clienti semplicemente perchè ‘allora non si faceva’. Naturalmente intendo ora occuparmi di donne nella nostra professione. Lavoro su diverse idee e sono pronta ad ascoltare consigli dai soci Ferpi.
E personalità più internazionali?
In effetti, questo è l’aspetto più debole del Museo, lo riconosco. In sostanza devi identificare le persone, visitarle, convincerle a partecipare e investire tanto del tuo tempo con loro. Per inserire una prospettiva internazionale dovrei avere la collaborazione di altri che mi aiutino nella ricerca e nella preparazione dei materiali online. I nostri colleghi nel mondo hanno tutti molto da imparare uno dall’altro.
Bernays sarebbe molto contento se il museo accrescesse la sua presenza nel mondo. Quando andò a Barcellona per il suo centesimo compleanno c’erano manifesti che salutavano la sua visita ovunque. Molti pensano che abbia avuto più impatto in Europa che negli Stati Uniti. Naturalmente il suo legame con Freud è più conosciuto in Europa che qui.
E perchè focalizzarsi sulle persone e non sui temi?
E’ la stessa risposta. Richiede tempo, impegno, ricerca e risorse.
Quale futuro per il Pr Museum?
Dimmelo tu. Sto lavorando su diverse personalità, e sono sicuro che immagini facilmente quali siano. Ma sono certamente aperta a idee che possano arricchire ed espandere il museo con riferimento a donne, professionisti internazionali, una sintesi delle migliori pratiche globali affinchè si possa rafforzare la sua identità di fonte riconosciuta in tutto il mondo per la ricerca internazionale: un Wikipedia visivo delle relazioni pubbliche.
Shelley Spector è nota sulla scena delle relazioni pubbliche newyorkesi dove dirige la Spector and Associates, agenzia corporate e business to business specializzata in finanza, nella difesa e nella tecnologia. L’agenzia ha vinto più di 40 premi ed ha appena celebrato il suo ventesimo compleanno. Dal 2009 Shelley è docente a contratto alla NYU ed è titolare di due ‘patenti specializzate’ in social media e social marketing.
Il museo è visitabile all’indirizzo http://www.prmuseum.com/

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