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La storia è nota. In un’antica favola africana si narra di una foresta in fiamme e degli animali che fuggono spaventati. L’unico che non scappa, ma torna addirittura indietro con una goccia d’acqua nel becco è un piccolo colibrì. Il leone, che della foresta è il re, gli chiede sarcastico: «Ma cosa credi di fare, non vedi che la foresta sta bruciando?». Risponde serio il colibrì: «Faccio la mia parte».
E partito da qui, dalla «strategia del colibrì», il primo incontro del ciclo «Fede, orizzonte per vivere» organizzato giovedì scorso a Torino dalla Cattedra del dialogo, l’iniziativa culturale promossa dalla pastorale per la Cultura e comunicazioni sociali dei vescovi del Piemonte. A confronto la piccola sorella Maria Ida e il giornalista Luca Poma. Un’occasione davvero speciale, perché le piccole sorelle di Gesù vivono aiutando il prossimo nel silenzio ed è raro che accettino di partecipare ad un incontro pubblico. «Una testimonianza laica e una testimonianza religiosa», ha spiegato mons. Luciano Pacomio, vescovo di Mondovì e delegato Cep per le comunicazioni sociali, «unite nella ricerca di possibili itinerari di fede incarnati nella vita di tutti i giorni. Due protagonisti con esperienze molto diverse che hanno scelto però di spendere la propria vita mettendo al centro la persona». «Due strade diverse», recita il titolo dell’incontro, unite nella ricerca di «obiettivi comuni» che si coniugano nelle parole «accoglienza» e «relazione».
Al centro dell’incontro la domanda: è possibile cambiare il mondo a partire dalle scelte del nostro quotidiano? E’ possibile che i piccoli gesti di ogni giorno – a casa, sul lavoro, tra amici – possano influire sul corso della storia? La Storia, quella con la «s» maiuscola, è fatta da tutti o da pochi? E un vecchio dilemma, lo sappiamo. Che nessuno ha risolto e che forse nessuno risolverà mai. Diceva Pascal: se il naso di Cleopatra fossa stato più corto, l’intera faccia della terra sarebbe cambiata. E scriveva Bertrand Russell: «Lascia perdere, quel che accade nel mondo non dipende da te…». Che dipenda da noi è invece convinto Luca Poma, giornalista esperto in Crisis management e consulente del ministro degli Esteri per le strategie di comunicazione.
«Pochi sanno», ha esordito Poma, «che ogni 5 minuti nel mondo viene ucciso un cristiano. Negli anni Sessanta del Novecento a Betlemme i cristiani residenti erano il 60 per cento della popolazione, oggi sono appena il 20 per cento. In Bosnia-Erzegovina in vent’anni si sono dimezzati: dagli 800 mila cristiani residenti del 1981 si è passati ai 440 mila del 2011. Milioni i cristiani uccisi per motivi religiosi o politici nei secoli passati». Di fronte a questi dati Poma si è chiesto: «Cosa si può fare per difendere la libertà religiosa? E soprattutto cosa può fare il mio Paese, tenuto conto del capitale di credibilità di cui gode la Farnesina all’estero?».
La risposta è arrivata da sola: si può tentare di orientare il lavoro del ministero «anche» su questi problemi, nonostante la difesa della libertà religiosa non sia la mission di un’istituzione pubblica. Così come sono arrivati subito anche i primi risultati: su proposta dell’Italia è partita una task force a livello di Unione europea sul tema delle libertà religiose. Poi è stato aperto a Roma un Osservatorio, quindi è stato steso un Rapporto e infine sono stati stanziati dei fondi da destinare a quei paesi dove la libertà religiosa è più a rischio. Stesso discorso in tema di diritti civili, ha spiegato Poma. Risultato? L’Italia ha stanziato in Siria sconvolta dalla guerra civile 6 milioni di euro per attrezzare ospedali da campo per la popolazione, e in particolare per i bambini colpiti dai bombardamenti.
Luca Poma ha poi ricordato l’esempio (famoso) di Rafael de la Rubia, che insieme a un gruppo di sei amici, complice un meeting sulla pace, hanno ideato e poi organizzato quella che è passata alla storia come la più grande manifestazione del mondo: la Marcia mondiale per la pace e la nonviolenza partita il 2 ottobre 2009 da Wellington (Nuova Zelanda) e conclusasi il 2 gennaio 2010 ai piedi del monte Aconcagua, il tetto dell’Occidente, a Punta de Vacas (Argentina). Due milioni di persone (25 milioni quelli che l’hanno seguita sul web) hanno percorso oltre 200 mila chilometri attraverso 98 paesi, dal Giappone al Sudamerica, attraverso tutti i continenti, e oltre 300 città. A Milano 11 mila persone si sono riunite in piazza Duomo in un karaoke entrato nel Guinnes dei primati. Il messaggio della Marcia, iniziata il 2 ottobre, ricorrenza della nascita di Gandhi, è chiaro: «Non è necessario essere il Mahatma, ognuno nel suo piccolo può fare qualcosa per cambiare il mondo».
E l’impegno dei piccoli gesti quotidiani, quello che ci fa alzare al mattino chiedendoci, «Cosa possiamo fare oggi per gli altri?», è lo stesso che ha guidato Maria Ida, piccola sorella di Gesù, nella sua vita di dedizione al Signore. La sua è stata una testimonianza davvero toccante, perché come fratel Charles de Foucauld, monaco trappista nel silenzio del deserto, al quale si ispira la congregazione, «coniuga la fede come relazione, testimonia l’unità tra l’amore per Dio e l’amore per gli altri. Come Gesù a Nazaret».
La congregazione fondata dalla piccola sorella Magdeleine, che aveva una «fede folle nel Signore padrone dell’impossibile», chiede alle sorelle di vivere come Gesù a Betlemme e a Nazaret, povere tra i poveri, in piccole comunità, che chiamano «le fraternità», spesso ai margini della società, in appartamenti popolari, tende o roulottes, condividendo nella quotidianità la fatica ma anche le speranze degli ultimi fra gli ultimi. La Fraternità fondata in Algeria nel 1939 e consacrata all’islam, con il tempo si estende al mondo intero: nascono fraternità operaie (1946), fraternità orientali (1948), fraternità gitane (1949), fraternità consacrate ai lebbrosi, fraternità sotto le tende con i nomadi. Ogni fraternità, spiega la piccola sorella Maria Ida, «cerca di dare una testimonianza dell’incarnazione di Gesù a Nazareth per raggiungere l’uomo nella sua quotidianità, per mettersi alla scuola dell’altro, in amicizia, unità e fraternità, come ha insegnato fratel de Foucauld».
Unità nell’amore. E’ questo il segreto della piccola sorella Maria Ida. Come de Foucauld ha gridato il Vangelo in mezzo al deserto del Sahara ai più lontani dal Signore, persuaso che musulmani, ebrei e idolatri potessero guardarlo come un fratello, convinto – e qui sta la sua straordinaria intuizione – che la vita di Gesù a Nazaret potesse essere condotta in ogni luogo e in ogni tempo, così Maria Ida vive nella piccola fraternità condividendo con i più poveri ciò che ha e ciò che è, con fiducia e amicizia.
«Il Gesù di Nazaret è già piena rivelazione di Dio che si mostra dal basso», spiega, «umile e pieno di amore per l’umanità. Noi piccole sorelle viviamo nelle Fraternità cercando di dare nel nostro piccolo, attraverso la vita di tutti i giorni, in un tempo percorso da una crisi senza precedenti, testimonianza dell’amore di Dio. Credo davvero che il mondo abbia bisogno di testimoni, di apostoli, di piccole sorelle che vivano il rispetto e l’accoglienza nel quotidiano. Esempi dal basso del grande amore del Signore».

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