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Corporate Social Responsibility (Csr): la volontà da parte delle imprese di tenere conto dell’impatto ambientale e del contesto sociale in cui operano
È possibile immaginare un mondo in cui Marx e Smith si stringono la mano, piegando le leggi del libero mercato alle esigenze sociali e trovando una sintesi fra le due ideologie? Da anni ormai si sta consolidando a livello aziendale il concetto di Corporate Social Responsibility (Csr), inteso come la volontà da parte delle imprese di tenere conto non solo dei parametri economici, ma anche dell’impatto ambientale e del contesto sociale in cui operano.
Ma è soprattutto in momenti di crisi come quello attuale, quando lo Stato è costretto a tagliare gli investimenti,che la responsabilità sociale delle imprese emerge in tutta la sua importanza. Nella sua declinazione più tradizionale, la filantropia aziendale che ultimamente va più di moda è quella applicata al campo culturale. Più l’arte, soprattutto quella contemporanea, diviene fenomeno di massa, più le aziende hanno interesse a partecipare.
“Oggi i brand di successo mirano a creare simbologie e miti, esattamente come l’arte”, dice András Szántó, consulente artistico per grandi società. “Per questo si sta assistendo a un progressivo avvicinamento fra le due realtà”. Anziché limitarsi a staccare assegni come facevano un tempo, le imprese cercano un coinvolgimento più sofisticato nel processo creativo.
Un esempio recente è la collaborazione fra il Guggenheim Museum e Bmw, che insieme hanno dato vita a un progetto per analizzare le sfide delle città del futuro all’interno di una struttura itinerante. O quello di Davidoff, che ha creato programmi per dare visibilità ad artisti della Repubblica Dominicana, dove l’azienda produce i suoi sigari. O quello di Hyundai, che ha da poco annunciato la sponsorizzazione d’installazioni d’arte all’interno della Tate Modern di Londra per un periodo record di 11 anni.
“Il finanziamento è talmente lungo da far supporre che l’accordo sia uno strumento di diplomazia culturale, oltre che di sponsorizzazione aziendale”, sottolinea Will Gompertz, critico d’arte della Bbc. Nel mondo delle imprese, però, c’è anche chi decide di adottare un approccio diverso dalla filantropia tradizionale, spostando l’accento sull’impatto sociale e creando modelli di business sostenibile che risolvono problemi per la gente.
I riferimenti all’eco-compatibilità del business sono molto frequenti, ma ci sono anche esempi d’imprenditoria nata da idee originali. In Italia si pensi a Gastameco, compagnia immobiliare specializzata in housing per studenti e turismo low-cost; Dynamo Camp, che offre terapia ricreativa a minori affetti da malattie; o I Dolci del Paradiso, pasticceria artigianale nata all’interno di una comunità terapeutica.
Questo tipo d’imprenditoria sociale si differenzia dall’azione caritatevole perché si fonda su un modello di business sostenibile. Da noi questo settore è meno sviluppato rispetto al Nord Europa, anche se ultimamente si registrano segnali positivi, come l’avvio da giugno 2014 di un fondo statale da 500 milioni di euro messo a disposizione delle imprese sociali. E l’apertura della prima sede di Ashoka, associazione internazionale che mira a creare una rete d’imprenditori sociali per supportarli nella crescita.
“In Italia c’è abbondanza d’imprenditorialità sociale”, spiega Claudia Garuti, coordinatrice per il lancio di Ashoka. “Spesso, però, le startup hanno difficoltà a strutturarsi e quindi perdono opportunità di accedere ai fondi d’investimento necessari alla crescita”. I capitali sono messi a disposizione attraverso esperimenti di Social Finance come Etica Sgr, Oltre Venture, Main Street Partners e il programma Comunità di Ubi Banca.
Ma oltre ad avere un impatto sociale positivo, sempre conveniente nelle pubbliche relazioni, la Csr può essere anche considerata un buon investimento da un punto di vista puramente economico? Gli imprenditori sono divisi sull’argomento e la ricerca accademica non ha portato a risultati concludenti. Il dibattito sulla profittabilità della Csr resta quindi aperto. Nonostante questo, però, essere un’impresa socialmente responsabile sembra ormai considerato un requisito necessario anche da guru del mondo degli affari.
“Il sistema capitalistico è sotto assedio. La percezione generale è che le imprese prosperino a spese della comunità”, avverte Michael Porter, illustre professore della Business School di Harvard. “Tocca alle imprese riconciliare il mondo degli affari con la società, riconnettendo il successo delle imprese con il progresso sociale”.

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