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Gestire eticamente il proprio business. Le aziende ci provano o almeno così dicono. Lo dimostra il bilancio di sostenibilità, il documento volontario dove le imprese comunicano le ‘buone azioni’ in ambito sociale e ambientale. Dalle emissioni in atmosfera all’uso razionale delle risorse idriche fino ad arrivare alle politiche a favore dei dipendenti: sicurezza, formazione parità di genere e chi più ne ha più ne metta.

Ma chi controlla quello che le aziende dichiarano? E ancora: per un’azienda presente in diversi paesi è giusto adottare un unico bilancio di sostenibilità nonostante le leggi sul lavoro e sull’ambiente, siano diverse? Il problema, spiega all’Adnkronos, Mario Molteni, direttore scientifico del Csr Manager Network, l’associazione che riunisce i manager della responsabilità sociale d’impresa, “è duplice”.
Da una parte, spiega Molteni, “c’è uno standard internazionale, il Gri, (Global reporting initiative, ossia le linee guida per l’elaborazione di un bilancio di sostenibilità, ndr), giunto alla quarta edizione. C’è un movimento convergente dei grandi gruppi internazionali rispetto a questo standard, e ciò è bene. Anche perché nel tempo la qualità delle informazioni è destinata a migliorare”.
Dall’altra parte, “le legislazioni locali possono imporre informazioni specifiche. In tal senso spesso le ‘società nazionali’ delle multinazionali fanno anche un bilancio di sostenibilità specifico nel Paese”. Ma non è sempre così. Non succede, infatti, né in Schindler, la multinazionale svizzera nel settore degli ascensori, nè in Henkel, multinazionale tedesca dei detersivi, dove il bilancio è unico.
L’obiettivo, spiega Luca Miolo, Csr manager Schindler Italia, “è avere a livello globale una fotografia dell’azienda. Poi è chiaro che questo bilancio viene alimentato da ogni consociata che mette a disposizione del gruppo le informazioni che vengono raccolte. La sede centrale va molto a fondo nei controlli ma a livello esterno ha senso comunicare un unico bilancio”. La Schindler però è presente in oltre 140 paesi e le leggi ovviamente non sono le stesse.
Per fare un esempio basta guardare alla Svizzera, sede centrale del gruppo, dove il lavoro è più flessibile e il licenziamento più liberale. Basta dimostrare il calo del rendimento sul posto di lavoro. Se poi questo calo sia dovuto ad una condizione particolare, come un problema di salute certificato, poco importa. Di certo, commenta Miolo, “il tentativo è di migliorarsi continuamente. Un altro dei nostri valori è l’integrità che implica il rispetto della legge. L’azienda si muove sempre all’interno della normativa nazionale. E questa è un po’ la complicazione. A volte è il bello e a volte è il brutto dei contesti multinazionali”. Insomma, bene essere responsabili ma la legge prima di tutto.
In Henkel, multinazionale presente in oltre 120 paesi, il Rapporto per lo Sviluppo Sostenibile, spiega Cecilia de’ Guarinoni, responsabile della comunicazione corporate e membro del Comitato Sviluppo Sostenibile di Henkel Italia, “si basa sullo standard internazionale Gri ma si tratta di una rendicontazione interna e non è certificata da enti esterni”. Il consumatore quindi si deve fidare oppure può sempre verificare di persona se quanto dichiarato dall’azienda corrisponda al vero.
Eppure non ci sono dubbi: “certamente la certificazione innalza la qualità e l’affidabilità dei dati socio-ambientali” commenta Molteni che sottolinea: “i costi sono alti e le imprese di minori dimensioni difficilmente possono permetterselo”. Ma questo, appunto, riguarda solo le piccole imprese.
“Se nel Paese il comportamento dell’impresa pone un’asticella più alta di quanto imposto dalla legge, allora l’azienda ha tutto l’interesse a comunicarlo” commenta Molteni che aggiunge: “se non lo fa, si espone alle critiche di un movimento di opinione che ha un profilo globale. A questo proposito, internet sta innalzando il potere d’influenza degli ‘attivisiti’”. Non ci resta, dunque, che augurare lunga vita al web.

 

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