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Una presentazione più cross-temporale che cross-settoriale

In un mondo della moda in cui la creatività è diventata frenesia di espansione e in cui si guarda con ansia al futuro sperando di anticiparlo, lo show “a scoppio ritardato” che Daniel Lee ha organizzato per Bottega Veneta ha l’aria di una novità, se non rivoluzionaria, almeno estremamente fantasiosa.

La sfilata vera e propria si è infatti tenuta a porte chiuse lo scorso 9 ottobre a Londra con una lista di invitati di primo livello: Kanye West e la piccola North, Roberto Bolle, Skepta, Stormzy, Rosie Huntington-Whiteley e Salma Hayek. In seguito, stampa e buyer hanno ricevuto una scatola contenente una tote bag verde, tre libri e un disco che raccontavano la collezione. Il primo libro era un moodboard che seguiva le ispirazioni di Daniel Lee, il secondo, di nome The Importance of Wearing Clothes, è stato creato dall’artista Rosemarie Trockel ed esplora il making-of degli abiti; mentre il terzo è, più che un lookbook, un album fotografico della sfilata di Londra, scattato da Tyrone Lebon

La scelta comunicativa che Daniel Lee ha fatto, affine per certi versi allo show-in-a-box di Jonathan Anderson per Loewe, ha il pregio di essere, oltre che cross-settoriale, cross-temporale nel suo mettersi all’incrocio di coordinate che sono visive, materiali, culturali e psicologiche tenendole sospese e pronte per la fruizione continua di quello che in realtà è stato un evento fisso nel tempo – quasi isolato nel tempo, se si considera come sia stato tenuto nascosto fino all’ultimo. La collezione può essere “percepita” in tutta la sua profondità (anche sonora, grazie al disco incluso) ma senza la linearità temporale che un video o la vita reale impongono: i look appaiono esplorabili con la mente e non soltanto sul piano visivo.

La presentazione appare così perché è legata non a un concetto astratto ma alla realtà – realtà e concretezza sembrano essere stati i vettori dell’immaginazione di Lee che ha voluto un evento reale, una presentazione che è tutta materiale composta com’è da libri, foto e vinili; e con un lookbook che trascende la sua stessa natura. Le foto di Lebon, infatti, sono la documentazione di un evento unico: una rara presentazione in real life, tenuta segretissima fra una ristretta cerchia di iniziati che include star e cultural pioneers. La definizione stessa di lusso esperienziale con tutto il fascino di una società segreta. L’ironia sta nel fatto che questo tipo di presentazione rappresenta un modello non futuristico ma anzi centenario: quello delle primissime sfilate fra le donne dell’alta società ai primi del ‘900 ma anche quello degli show underground di Raf Simons e Margiela. Lo stesso Daniel Lee ha dichiarato a Vogue:

È stato come tornare indietro nel tempo e pensare all’alba delle sfilate. L’idea del defilé privato mi è sembrata molto intima e personale. 

Sul piano degli abiti, la presenza di un’artista come Trockel, famosa per le sue raffigurazioni sulla lana, lascia già intendere che il knitwear è il cuore della collezione – e questo per la sua qualità tattile che emerge anche in foto, quando non si può toccare la stoffa. La purezza e pulizia dei tagli e delle costruzioni, insieme alla vivacità e alla texture dei materiali, evidenziano come per Lee l’aspetto più importante (oltre che il focus della collezione) sia proprio il concreto, il reale, ciò che si può toccare e, soprattutto, che si può narrare non solo attraverso il realismo ma anche tramite la suggestione e la visione creative. 

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