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Riportiamo a seguire due articoli de “Il Fatto Quotidiano” sulla campagna dei “Guerrieri” di Enel: un clamoroso caso di effetto boomerang, che dovrebbe far riflettere molti pubblicitari sulla gestione delle campagne di engagement del pubblico, per i propri grandi clienti..
Enel, la pubblicità diventa boomerang: “epic fail” di #guerrieri su Twitter
La campagna pubblicitaria dell’azienda invita gli utenti a condividere le proprie storie di vita quotidiana. Ma l’hashtag creato per l’iniziativa ha dato modo al popolo della rete di scatenare la contestazione nei confronti dell’operatore elettrico. Impennata delle mention sull’argomento, tra cui quelle del collettivo di scrittori Wu Ming e del cantante Nandu Popu
Una campagna pubblicitaria diventata un boomerang. E’ quanto successo a “Guerrieri”, l’operazione di marketing di Enel, protagonista involontaria di un “epic fail” digitale. L’iniziativa è stata lanciata il 26 agosto scorso e negli ultimi giorni sta effettivamente spopolando sulla rete. Ma la partecipazione degli utenti non è certo quella che si aspettavano gli ideatori della campagna, anzi. Nei confronti del gruppo si è scatenata una raffica di attacchi, contestazioni, prese in giro (guarda lo Storify).
L’operazione di marketing è stata studiata dall’inglese Saatchi & Saatchi, una delle agenzie pubblicitarie più importanti al mondo. E’ stata creata una piattaforma di storytelling dove gli utenti sono invitati a condividere le proprie storie, le proprie battaglie affrontate nella vita di tutti i giorni. “Cerchiamo i #guerrieri del quotidiano”, si legge nel sito dedicato all’iniziativa. “Quelle persone che, tra mille difficoltà, stringono i denti e vanno sempre avanti. Che sia sul posto di lavoro, in famiglia, nel volontariato, che sia in risposta a una malattia o a un problema economico, i #guerrieri non mollano”. Le storie inviate dagli utenti partecipano a un concorso: tra tutte quelle raccolte, sono selezionate le cento con più seguaci. Tra gli autori, saranno estratti a sorte i cinque vincitori, che riceveranno in premio una bicicletta elettrica. La campagna pubblicitaria è stata promossa anche attraverso Twitter (tramite l’acquisto di visibilità nei top trend) e gli spot televisivi realizzati dal regista e scrittore americano Andre Stringer e prodotti dalla Filmmaster Productions. “Qualunque sia la tua battaglia, hai tutta l’energia per vincerla. Anche la nostra”, recita lo slogan del video che circola sulla rete e sulle principali emittenti televisive.
Ma l’iniziativa di Enel si è trasformata in una debacle. L’hashtag #guerrieri ha dato modo agli utenti di sferrare un attacco senza precedenti all’azienda, anziché partecipare al concorso: sul social network, le accuse, gli sfottò, le contestazioni si sono sprecate. Paradossalmente, l’effetto è stato amplificato dalla stessa azienda, che ha comprato il top trend di Twitter, attirando l’attenzione di migliaia di utenti. Se fino a metà settembre, la campagna aveva raggiunto un massimo di poco più di 400 mention giornaliere, nella giornata di martedì sono stati 2.500 gli utenti che hanno parlato della campagna pubblicitaria. E ne hanno parlato male. Dal lancio dell’iniziativa, il totale di mention sull’argomento sfiora quota 9mila.
Gli utenti, in chiara polemica contro l’operatore elettrico, definiscono guerrieri “quelli che ogni giorno, nei territori, si battono contro le centrali a carbone di Enel”, oppure “quelli che devono pagare la bolletta più cara d’Europa e sono in cassa integrazione”. E c’è chi ricorda le manifestazioni contro Greenpeace, apparentemente portate avanti da operai Enel e invece orchestrate dall’azienda. Tra i contestatori dell’azienda, compaiono anche personalità famose. Il collettivo di scrittori Wu Ming parla della campagna pubblicitaria come “il più clamoroso caso di eterogenesi dei fini nell’ancora breve storia del social media marketing italiano”. E rincara la dose Nandu Popu, cantante del complesso reggae Sud Sound System: “Ogni mattina i guerrieri si svegliano e combattono contro il carbone”. Il gruppo salentino non è nuovo alla battaglia contro Enel: in passato, aveva boicottato dei concerti sponsorizzati dall’azienda.
“Non è la prima volta che una grande azienda inciampa in un hashtag poco felice”, fa notare Stefano Epifani, docente di Social media management alla Sapienza di Roma. “E’ capitato a McDonald con l’hashtag #McDStories e a Ferrovie dello Stato con #MeetFS”. E aggiunge: “Tutte queste storie hanno una matrice comune, un errore di fondo: dimenticare che la rete dà voce ai nostri amici, ma anche ai nostri nemici, e la critica viaggia molto più veloce dell’apprezzamento. Soprattutto con strutture come Enel, che vedono una singola campagna trasformarsi nello ‘sfogatoio‘ di migliaia di utenti scontenti”. Gianandrea Facchini, fondatore di Buzzdetector (società di social analytics), critica la scelta del nome della campagna: “La retorica del guerriero mi suona male allontana dalla realtà quotidiana che non ha nulla di epico, ci voleva forse più umiltà nell’avvicinarsi ai problemi quotidiani delle persone. Chissà ci sarà anche chi si prende la briga di cambiare fornitore”.  ”Non è stata ancora capita da parte delle aziende italiane la rivoluzione del web 2.0“, spiega Vincenzo Russo, social media manager de ilfattoquotidiano.it. “I mercati sono conversazioni. E nel conversare bisogna mettersi alla pari, essere onesti, chiari, e parlare la lingua dei propri interlocutori”.
Enel, l’azienda organizzava manifestazioni “spontanee” contro Greenpeace
“Striscioni: numero 8, lunghezza 8/10 metri – altezza almeno 1,5 metri, formato orizzontale e verticale, font: scritti con pennello. No spray. Colore: preferibilmente blu scuro/verde scuro su fondo bianco. Scritte: ANDATE A LAVORARE, BASTA ECOBALLE, SIAMO VERDI DI RABBIA, uno o due a piacere in”. Questo il contenuto delle email con cui i vertici dell’azienda organizzavano le contro-manifestazioni in risposta alle proteste ambientaliste spacciandole per ‘azioni spontanee’
Per il buon esito di una manifestazione ci vogliono anche due megafoni, dieci fischietti da arbitro e dieci trombe nautiche a bomboletta. A stendere la “lista della spesa” non è il capo-ultras di una curva, ma un uomo dell’ufficio stampa di Enel. E i campi da gioco sono le centrali a carbone prese di mira da Greenpeace, più volte citata in giudizio dal colosso dell’energia per le sue azioni dimostrative.
È l’ottobre del 2008. Manca poco più di un mese all’inizio della Conferenza sui cambiamenti climatici organizzata dall’Onu a Poznań, in Polonia. Greenpeace entra in azione a Genova il 26. Lo schema è collaudato. All’alba gli attivisti attaccano la Lanterna, simbolo della città, una nave carboniera e l’impianto termoelettrico dell’Enel. Sulla facciata della centrale, sotto il simbolo della società, scrivono “clima killer”. Poche ore dopo la scritta viene oscurata da tre striscioni colorati: Andate a lavorare, Basta ecoballe e Quit Greenpeace. A srotolarli sono gli operai dell’Enel che manifestano contro l’azione degli attivisti verdi. Una contro-protesta spontanea, così la definiscono i dipendenti e la descrivono i giornali. Ma i fatti non sono andati proprio in questo modo. A testimoniarlo sono le mail che i dirigenti dell’Enel si scambiano febbrilmente nelle ore e nei giorni successivi, temendo nuovi attacchi negli altri impianti a carbone.
La verità emerge dalle carte del processo che vede imputati a Brindisi dodici dirigenti Enel con l’accusa d’aver imbrattato di carbone campi e abitazioni vicini alla centrale “Federico II”. Il 9 ottobre 2009 il pm Giuseppe De Nozza ordina la perquisizione del computer di Calogero Sanfilippo, allora responsabile della filiera del carbone. E salta fuori anche questa storia collaterale, che svela un doppio livello nelle legittime azioni di contro-protesta agli attacchi di Greenpeace. Contattata da ilfattoquotidiano.it l’Enel preferisce non commentare. E il responsabile settore elettrico della Filctem Cgil, Giacomo Berni, è categorico: “Ho organizzato tante manifestazioni come sindacato, mai per conto terzi”. Fatto sta che gli operai protestano, ma tutto sembra essere deciso nella sede centrale di Roma. Nei minimi dettagli.
Una mail vale per tutte quelle sequestrate. È quella inoltrata il 31 ottobre 2008 da Sanfilippo ai responsabili delle centrali, ma a scriverla è Alessandro Zerboni, uomo dell’ufficio stampa. È datata 29 ottobre, tre giorni dopo l’attacco di Genova. «È di fondamentale importanza individuare cinque fidatissimi lavoratori per unità a carbone. Eleggere uno o due portavoce. Il personale – suggerisce Zerboni ai responsabili delle relazioni esterne delle macroaree – dovrà essere formato e preparato all’azione. È importante gestire le relazioni sindacali, durante e dopo la protesta in quanto si tratta sempre di AZIONI SPONTANEE dei lavoratori, MAI ORGANIZZATE dall’azienda». Così spontanee che «in caso di azione il capocentrale dovrà informare il proprio superiore, il responsabile di filiera, le relazioni esterne, l’ufficio stampa nazionale».
Poi la lista della spesa, un “press kit per le centrali a carbone” che consiste in «STRISCIONI: numero 8, lunghezza 8/10 metri – altezza almeno 1,5 metri, formato orizzontale e verticale, font: scritti con pennello (minima larghezza per lettera 10 cm). No spray. Colore: preferibilmente blu scuro/verde scuro su fondo bianco. Scritte: ANDATE A LAVORARE, BASTA ECOBALLE, SIAMO VERDI DI RABBIA, uno o due a piacere in dialetto». Due delle frasi suggerite erano già comparse a Genova. L’en plein, stando a quanto riportano i giornali dell’epoca, si registra nel 2009 durante la contro-protesta inscenata dagli operai dell’impianto di Fusina, alle porte di Marghera, subito dopo l’attacco di Greenpeace alla vigilia del G8 de L’Aquila. Sono le uniche due occasioni accertate nelle quali le proteste degli operai combaciano con le indicazioni prescritte nel “press kit”, che si chiude con gli accessori da stadio: «Due megafoni, dieci fischietti da arbitro e dieci trombe nautiche a bomboletta».
Il giorno seguente l’azione di Greenpeace a Genova, lo scambio di mail tra dirigenti, relazioni esterne e gli uomini al comando delle centrali è fitto. Bisogna prevenire altri attacchi e reagire velocemente nel caso in cui gli attivisti riescano a violare ancora le centrali. L’attenzione si concentra sugli impianti di La Spezia e Piombino, i più vicini e per questo più esposti. Dopo il blitz a Civitavecchia del 16 ottobre e il bis in Liguria, la tensione è alta. E c’è fretta di approntare quanto necessario per oscurare la protesta ambientalista. Così Sanfilippo dice al direttore della centrale spezzina di chiedere in prestito gli striscioni usati a Genova, raccomandandosi «per il futuro di realizzarli ad uso esclusivo di La Spezia». Entra in scena anche un pezzo grosso come Roberto Renon, responsabile Area Business, che ricorda a Sanfilippo di concordare in futuro con relazioni esterne le frasi poiché «in staff meeting non era piaciuto “Quit Greenpeace”», apparso a Genova il giorno prima.
Della centrale di Piombino si occupa il responsabile delle relazioni esterne per il centro-nord Luciano Martelli, oggi in pensione. Allertato dalla security interna sulla l’imminente possibilità di un’incursione, avvisa Roma. Il capo ufficio stampa Gerardo Orsini è categorico e pronto a partire per la Toscana: «Vale la pena che tu vada direttamente sul posto per far sì che siano pronti al più presto gli striscioni, le dichiarazioni da fare, si trovi un portavoce che dichiari ai media. Se non puoi diccelo che andiamo da Roma». Martelli lo tranquillizza: «In centrale stanno già preparando qualche striscione». Gli attivisti di Greenpeace non arriveranno. Ma sempre meglio portarsi avanti con il lavoro.

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