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I nostri cammini si sono incrociati l’8 ottobre 2001 all’aeroporto di Linate. Quel tragico giorno Paola, che studiava a Copenhagen, perse papà Giovanni, mamma Clara e il suo fratellino Michele di sei anni.
La incontrai in occasione del primo anniversario di quella tragedia al Bosco dei Faggi, l’8 ottobre 2002. Poi un giorno venne a trovarmi in ufficio per scrivere la sua tesi di laurea:“Crisis Management dell’incidente di Linate: il caso SAS”.
Ne ho una copia qui sotto gli occhi con la sua dedica. “A Patrick con un grazie speciale. Paola”. Potete scaricare qui dal sito del “Comitato 8 Ottobre per non dimenticare” le sue 190 pagine. Si leggono velocemente. Dovrebbe essere lettura obbligatoria per chiunque occupi una posizione di responsabilità in azienda o si occupi di comunicazione.
Ricordo di aver provato una grande ammirazione per quella dolce ragazza dal carattere forte che aveva avuto il coraggio di dedicare la sua tesi a questa tragedia. Per elaborare il suo lutto direbbero probabilmente gli psicologi. Forse per darsi una ragione.
Paola non è più con noi. Il 20 dicembre 2013, a soli 33 anni, si è tolta la vita lasciano due bimbi di 5 anni e 3 mesi. Si è arresa “al male di vivere” ha scritto una testata locale.  Un anno prima si era arreso anche suo fratello Matteo. Aveva 30 anni.
Il racconto che troverete sotto non è quello di cosa è successo. Per quello c’è la tesi di Paola. E’ solo un puzzle di frammenti che mi sono rimasti indelebili tra tanti a distanza di 18 anni e che spero possano aiutare a comprendere perché è importante per le aziende prepararsi a gestire situazioni critiche.

8 ottobre 2001

Da alcuni anni seguivo tra i clienti dell’agenzia fondata da mio padre nel 1963, Lufthansa. Il vettore tedesco all’epoca recentemente privatizzato mi aveva invitato a partecipare ad un seminario di gestione di crisi organizzato dalla IATA a Ginevra nel mese di agosto 2001. Pur avendo già una buona infarinatura sul tema, mi era sembrato indispensabile parteciparvi.
Alle 7 del mattino del 8 ottobre 2001 uscii di casa per recarmi in ufficio. Una nebbia fitta avvolgeva la città. Verso le 9 notai sull’ANSA le prime scarnissime notizie sull’incidente di Linate. Poiché SAS era membro di Star Alliance informai subito il mio referente Lufthansa in Belgio. Verso l’ora di pranzo arrivò la chiamata del vettore Scandinavo e con 3 colleghe mi diressi verso l’aeroporto.

A Linate

Ricordo il viale Forlanini deserto con una pattuglia della polizia che bloccava l’accesso. Il cielo era blu terso, quel blu che rende Milano così bella, la nebbia che aveva avvolto la città durante tutta la notte si era completamente diradata. Sceso dall’auto a Linate mi colpì immediatamente nell’aria l’odore acre del carburante per aviazione misto all’odore di bruciato. E il silenzio. Mio papà mi portava la domenica a vedere gli aerei decollare e io avevo preso centinaia di voli da quell’aeroporto. Un’atmosfera surreale per uno degli aeroporti più trafficati d’Europa.
Non avevo nessun riferimento visivo, il disastro sottostante non era visibile dal piazzale di ingresso in aeroporto.
Ricordo i corridoi deserti dello scalo. Ancora oggi ho un immagine indelebile davanti agli occhi. Quella di ombre muoversi nel corridoio sottostante gli uffici delle compagnie aeree da dove operavamo. Erano alcuni dei famigliari delle vittime che vagavano per l’aeroporto alla ricerca di qualcuno che li potesse aiutare ad avere notizie dei loro cari.
Ogni volta penso che solo chi ha attraversato il dolore della perdita di un famigliare può realmente capire cosa questo significhi. Io avevo perso mio padre 4 anni prima.

A fianco di SAS

Ho lavorato con SAS per cinque anni a partire dal 8 ottobre 2001. E ho seguito le cerimonie al Bosco dei Faggi per 10.
La differenza nelle situazioni di crisi la fanno gli uomini. Lo scrivo da anni.
All’epoca avevo 37 anni. Ricevetti la massima fiducia e quasi carta bianca dal direttore generale per l’Italia Roberto Maiorana, dal VP Europa Bjorn Allegren e dal CEO Jorgen Lindegard per gestire la comunicazione in Italia. Manager di incredibile integrità e umanità, aperti al confronto, pronti ad ascoltare ed accogliere i miei consigli.
Avevamo poche informazioni da dare. Organizzammo una conferenza stampa alle 18,00 del giorno stesso a Linate. I manager SAS Roberto Maiorana e Bjorn Ollegren al tavolo davanti ai giornalisti, io al loro fianco. Il CEO Jorgen Lindegard era su un aereo SAS insieme ai famigliari scandinavi delle vittime che volava da Stoccolma a Milano. Erano passate poco meno di 10 ore dal disastro dove avevano perso la vita 118 persone. Non avevamo molto da dire ma era importante fare vedere il volto “umano” del vettore.
Ricordo la frustrazione dei giornalisti che volevano sapere. Ricordo la nostra impossibilità a parlare di un incidente del quale non sapevamo quasi niente. Ma parlammo di quello che stavamo facendo.
Non “parlarono”. “Parlammo”. Io mi sentivo parte integrante del team SAS.
La mattina seguente, a 24 ore dal disastro, organizzammo una seconda conferenza stampa sempre a Milano.

A fianco di Jorgen Lindegard

Incontrai Jorgen Lindegard la mattina del 9 ottobre all’hotel Brunelleschi di Milano. Erano le 7 del mattino. Avevo sotto braccio la rassegna stampa, la misi sul tavolo e feci un rapido sommario della situazione così come presentata dai media italiani. Ne parlammo pochi minuti. Jorgen condivise con me e con il resto del management SAS lì presente la posizione della compagnia.
Gli chiesi come intendeva affrontare la conferenza stampa. Mi rispose “a braccio”. Gli spiegai che a mio giudizio non era una buona idea. Si convinse e mi chiese di scrivergli il discorso. Presi il mio portatile e in 25 minuti scrissi un discorso di 27 righe. 5 minuti. Poi, gli dissi, avremmo affrontato le domande dei giornalisti.
Ricordo che la sala che avevamo scelto per la conferenza stampa era troppo piccola. I giornalisti erano accalcati uno sull’altro. Non avevamo calcolato la portata mediatica dell’evento. Contattammo immediatamente la direzione dell’hotel e in 20 minuti spostammo, tra i loro mugugni, tutti i giornalisti in una nuova sala.
Quando entrammo in conferenza stampa mi sedetti sul palco al fianco di Jorgen Lindegard. Eravamo soli e il cuore non smetteva di battermi. Ho ancora vivida l’immagine di quel momento. Davanti a noi 30 telecamere schierate e un centinaio di giornalisti provenienti da tutto il mondo. Il mio compito: moderare gli interventi, tradurre le domande dei giornalisti italiani e le risposte del CEO SAS.
Ricordo la domanda del giornalista della CNN. “Lei si sente responsabile di quello che è accaduto?”. E la risposta di Lindegard: “In qualità di CEO di SAS mi sento responsabile”.

“Una lezione di stile, comportamento sociale e rispetto delle regole”

Così scrissero il giorno dopo i giornali italiani. “Una lezione di stile, comportamento sociale e rispetto delle regole. Un fair play in stridente contrasto con lo scaricabarile – classico esercizio nazionale – che impazza tra enti e società italiane a vario titolo coinvolte”, scrisse il Secolo XIX il 10 ottobre 2001.
“Efficienza, compostezza e sobrietà che rendono ancora più impari il confronto con altre espressioni e con altri atteggiamenti. (…) Troppe voci alle parole di pietà hanno preferito quelle dello scaricabarile”, commentò tra gli altri il giornalista del Corriere della Sera.

La storia dell’incidente

La storia di Linate avrebbe avuto molto da insegnarci. Prima di leggere la tesi di Paola, il migliore manuale di crisis management mai scritto, vi invito a leggervi il resoconto di quell’incidente su Wikipedia. E soffermarvi sul capitolo “Le Cause”.
In 18 anni ho raccontato una sola volta qualche anno fa, a porte chiuse su invito del country manager SAS quello che ho vissuto a Linate.
Di questa triste storia mi resta ancora una riflessione. Tutte le risorse che SAS ha messo in campo, e che Paola ha così ben documentato, non sono servite a salvarla. Paola e suo fratello sono morti l’8 ottobre 2001 sul volo SK686 insieme alla loro famiglia.
Che ciascuno tragga qualche insegnamento dalla tragedia di Genova. Quella di Linate sembra non aver lasciato traccia.

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