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New York, al via la rivoluzione green: il comune taglia le emissioni dei grattacieli

La Grande Mela si fa verde e fa da battistrada al Green New Deal. Non si chiama così, ma il Climate Mobilization Act è di fatto questo per New York. È stato approvato nei giorni scorsi dal consiglio comunale d’una metropoli affollata da 8,4 milioni di residenti con tutti i loro servizi e attività una significativa «carbon footprint», un’impronta dell’impatto ambientale, anche se stando all’Ufficio del censimento la città ha perso 40mila abitanti nell’ultimo anno tirando il fiato da una crescita che durava dal 2010.

Di più, il passaggio dell’Atto – una combinazione di dieci proposte di legge in aperta sintonia con la riduzione delle emissioni da effetto serra voluta dall’Accordo di Parigi dell’Onu – è avvenuto quasi all’unanimità, 45 voti contro due, tra gli applausi. Forse prevedibili in una metropoli tradizionalmente progressista, ma segno della determinazione a trasformare il «pacchetto» in realtà, sfidando un’amministrazione Trump che e livello federale ha invece dato platealmente l’addio a Parigi.

L’iniziativa era oltretutto men che scontata. È stata considerata «molto aggressiva» persino dal sindaco democratico della città Bill de Blasio, che pur flirta con una candidatura alle presidenziali del 2020 in un partito dove avanzano le correnti più di sinistra sotto le bandiere, neanche a dirlo, di programmi sociali e economici battezzati Green New Deal. De Blasio l’ha però sposata – firmandola in occasione dell’Earth Day – rivendicandone i benefici sia per l’ambiente (la città ha sofferto la sua quota di danni da clima estremo) che per lo sviluppo di un intero nuovo modello economico sostenibile. Una firma apposta nonostante la strenua e influente opposizione di alcune lobby di business – su tutte quella immobiliare dato che il cuore della riforma riguarda proprio giri di vite sull’edilizia e i suoi consumi energetici.
A chi si domandasse il rilievo del settore per New York, basti citare un dato: i palazzi, in una città densamente popolata e «verticale» come New York, sono oggi responsabili di oltre due terzi delle emissioni totali di anidride carbonica. E a chi chiedesse conto di celebrità e delicatezza degli immobili messi in discussione basti ricordare che c’è la Trump Tower, sì, quella al centro anche di altre «emissioni» potenzialmente tossiche, quelle politiche del Russiagate per la Casa Bianca.

«Il cambiamento climatico pone una minaccia esistenziale a New York City – ha fatto sapere l’amministrazione di de Blasio – E rendere i palazzi più sostenibili e efficienti è un elemento chiave della soluzione del problema». Gli obiettivi sono ambiziosi. I calcoli del comune prevedono che l’abbattimento delle emissioni sarà equivalente a eliminare un milione di auto dalle strade entro il 2030, con vantaggi per la salute a cominciare dalla lotta all’asma e in grado di prevenire oltre 40 decessi e cento ricoveri in pronto soccorso ogni anno.
Il progetto ha a cuore esplicitamente anche l’impatto economico, che vede nell’insieme a sua volta nettamente positivo. Entro quella stessa data del 2030, le proiezioni parlano della creazione di 27.600 nuovi impieghi «ecologici» grazie alla riforma. Studi di alcune non profit quali Align appaiono ancora più ottimisti: 23.627 posti di lavoro diretti nelle costruzioni per adattare i palazzi e grattacieli ai nuovi criteri e 16.995 indiretti ogni anno per manutenzione e gestione, manifattura e servizi.

L’iniziativa prende di mira anzitutto l’edilizia, vecchia e nuova, perché è su questa che la città ha completa giurisdizione – al contrario di altri campi di impatto ambientale dove ha voce in capitolo lo Stato di New York, più moderato seppur esso stesso governato dai democratici. Campi che vanno dal trattamento delle acque al trasporto pubblico, dal traffico (dove lo Stato ha tuttavia previsto un congestion pricing) ai sacchetti di plastica (ora quelli mono-uso, con qualche eccezione, sono stati messi al bando).

In buona sostanza, la neo-legislazione cittadina impone a molti palazzi di ridurre le loro emissioni a partire al 2024, fino ad arrivare a tagli del 40% in data 2030. Il costo delle modifiche prescritte? Stando alle autorità all’incirca 4 miliardi di dollari a carico dei proprietari di immobili. «Sarà la piu grande rivoluzione nella storia del real estate di New York City – ha dichiarato John Mndyck, Ceo dell’Urban Green Council, un’associazione che raggruppa ambientalisti e costruttori – Sarà difficile e richiederà miliardi, ma nasceranno tecnologie e modelli di business per portarla a termine».

La mossa più consequenziale ha un soprannome che la dice lunga, Dirty Buildings Bill, la legge per i grandi palazzi sporchi. Ben 50.000 di questi – parte importante dei palazzi di dimensioni superiori ai 25.000 piedi quadrati che rappresentano il 2% dell’edilizia cittadina ma metà delle sue emissioni dannose – sono nel mirino per un taglio delle emissioni del già citato 40% entro dieci anni e fino all’80% entro il 2050. Un taglio che avverrà attraverso molteplici modifiche, quali nuove finestre e nuovi sistemi di isolamento termico. Violare i nuovi requisiti costerà caro: le multe previste sono di milioni di dollari l’anno, calibrate sulla base della gravità delle irregolarità. Accanto alla Trump Tower, noti immobili che dovranno adeguarsi o pagare comprendono dagli storici Empire State Building e Chrysler fino allo One World Trade Center. Nonché grandi ospedali, che però con istituzioni religiose e case popolari hanno ottenuto alcune esenzioni suscitando le ire degli altri giganti del real estate.
Non finscono qui i cambiamenti. La rete di leggi varata ordina alla città di condurre uno studio di fattibilità entro il 2021 – e di aggiornarlo ogni quattro anni – per prevedere la chiusura di 24 centrali elettriche a gas e petrolio e sostituirle con fonti rinnovabili e meccanismi per l’accumulo e la conservazione di energia in eccesso. Su nuovi palazzi e costruzioni di piccole dimensioni verranno poi installati «tetti verdi», con una combinazione variabile di vegetazione, pannelli solari, mini-turbine a vento.

La complessa matematica, come la chiama il New York Times, della legge si basa su dati sui consumi energetici dei palazzi raccolti ormai da anni e che la citta’ ha usato per creare veri e propri benchmark e per estrapolare le emissioni per piede quadrato. Limiti diversi riguarderanno in futuro differenti tipologie di immobili, quali uffici o complessi residenziali. A titolo di esempio l’Empire State Building adesso produce 6,27 chilogrammi di anidride carbonica l’anno per piede quadrato; nel 2030 stando ai nuovi standard dovrà aver ridotto le emissioni a 4,53 kg. Una nuova agenzia cittadina, l’Office of Building Energy and Emissions Performance, potrà tuttavia alterare la matematica e esaminare ricorsi per concedere flessibilità a palazzi che abbiano inquilini di business dalle comprovate necessità di elevati consumi energetici, quali media, tecnologia e aziende di life sciences.

Una specifica misura ambientale condanna infine il fracking, la fratturazione idraulica: vieta la concessione di permessi necessari all’importazione di gas naturale attraverso la Williams Pipeline, un gasdotto che arriva dalla Pennsylvania (una delle controverse patrie del fracking americano assieme al Texas). Il fracking e’ dal 2014 vietato nello stato di New York, ma l’import di gas cosi estratto era stato stato proposto citando la necessità di ovviare ad una produzione di energia più «sporca». La riforma comolessiva avrà ancora delle appendici: in arrivo è un ulteriore provvedimento, che resta da votare ma dato per certo: la conversione di tutti gli scuolabus in veicoli elettrici nel giro di vent’anni, capitolo dello sforzo cittadino di trasformare l’intero trasporto pubblico newyorchese su gomma entro il 2040.

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