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Seconda edizione per la rassegna che porterà sotto la Mole i pensatori più visionari da New York, Detroit, Copenaghen per un dibattito sulla cultura urbana. Ne abbiamo parlato col suo fondatore Luca Ballarini


Torino sarà al centro del dibattito sulla cultura urbana grazie al Festival Torinostratosferica Utopian Hours, che si terrà in città fino al 21 ottobre 2018, negli spazi ex industriali recuperati di Q35, già sede di The Nesxt. Giunta alla seconda edizione, la rassegna farà convergere sotto la Mole i pensatori più visionari da New York, Boston, Helsinki, Berlino, Parigi, Londra, Oslo, Rotterdam, Lisbona e Praga  per discutere in modo poco convenzionale di città e processi di rigenerazione urbana. Su tutti, Aaron Foley, il primo chief storyteller ufficiale di Detroit (e prima figura di questo tipo negli Stati Uniti e nel mondo); l’esportatore del “modello Copenaghen” di mobilità lenta e ciclabile Mikael Colville-Andersen(volto della serie tv The Life-Sized City in onda su laEffe come Racconti dalle città del futuro); e Jeff Stein,il direttore del progetto Arcosanti, la città-laboratorio fondata negli anni ’70 in Arizona dall’architetto torinese Paolo Soleri. L’iniziativa, supportata da importanti istituzioni come la fondazione di origine bancaria Compagnia di San Paolo ed Edison, è promossa dall’omonima associazione no profit Torinostratosferica, fondata da Luca Ballarinidello studio torinese di progettazione e comunicazione Bellissimo (sua anche l’idea di portare Open Housea Torino), al quale abbiamo posto qualche domanda.
Come nasce Torinostratosferica?
Torinostratosferica nasce come logo e come progetto alternativo a Torino Strategica, a cui avevo collaborato come grafico e copywriter insieme al mio studio, Bellissimo. Ha il vantaggio di essere un’associazione privata, no profit e interdisciplinare. Oggi non basta creare un brand della città rivolgendosi alle élite: occorrono nuove narrazioni soprattutto a partire dalle immagini e da un linguaggio diretto e internazionale che, a differenza del passato, oggi attraverso social come Instagram e Facebook possono essere condivisi molto più facilmente di elaborati concetti strategici.
Di cosa si tratta in concreto?
È un esperimento collettivo e innovativo di city imaging e di city branding nato nel 2014, che parte dal concetto di città come immagine mentale (The Image of The Citydi Kevin Lynche, soprattutto, la frase: “Cities are mental weapons” di Julian Beinart, suo successore al MIT nel corso di Theory of City Form). È un progetto che vuole esprimere una visione che guardi avanti e punti in alto, con ambizione e coraggio. In modo sperimentale, psichedelico, senza limiti, senza committenti, preconcetti e senza calcoli di fattibilità.
Altro?
È un modo innovativo per riflettere sulla città (come arma mentale) e trovare modi inediti e distintivi di raccontarla all’esterno, diventandone entusiasti ambasciatori. In sintesi, Torinostratosferica è un’immagine potente, una grande utopia collettiva di cui c’è urgente bisogno.
Continua in qualche modo il tuo impegno nei confronti della città. Dopo l’architettura di Open House Torino, ora questo festival più orientato all’urbanistica e all’elaborazione di un piano strategico per la città…
Sì, attraverso il lavoro volontario e no profit svolto da Torinostratosferica, come anche con il progetto di Open House Torino, ho deciso di dare un contributo diretto e concreto alla mia città, e di tornare a occuparmi di architettura e di sviluppo urbano a livello internazionale.
Perché? Qual è la tua visione?
La città è la mia più grande passione, insieme all’architettura e alla grafica. Prima di fondare il magazine Label e lo studio Bellissimo nel 1997-98, ero convinto che avrei fatto il sociologo urbano o l’urbanista. Poi le cose sono andate diversamente. Ma oggi sento un forte richiamo a lavorare su questi temi, apportando tutto quanto ho imparato in questi 20 anni di comunicazione, branding ed event design.

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