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Sudorazione, palpitazioni, tic motori, smorfie facciali e non solo. Per chi si occupa di marketing la sfida non è solo una questione di dati. Noci, autore di “Biomarketing” (Egea): «Serve una nuova piattaforma che metta al centro le emozioni e le relazioni»

Nell’era dell’e-commerce e dei social network come vetrina, chi si occupa di marketing molto spesso dimentica che ad acquistare sono persone in carne e ossa, non semplici account. Big data, Kpi (Key performance indicator) e Roi (Return of investement) da un decennio a questa parte sono le basi su cui costruire campagne di comunicazione pubblicitaria e di vendita. Il tutto, supportato dai dati derivanti dalle neuroscienze, quell’insieme di discipline che si occupano di studiare il sistema nervoso, il suo funzionamento e la sua risposta agli stimoli esterni. Domande come: qual è il neurone che si attiva quando vediamo l’auto dei nostri sogni? Che catena di sinapsi si mette in moto di fronte a un bel cono di gelato? Che combinazione chimico-neurale ci spinge o meno ad entrare in un negozio? Domande le cui risposte generano un mercato che, secondo un recente studio pubblicato da “Market Research Report Search Engine”, potrebbe raggiungere i 2,2 miliardi di dollari di valore entro il 2025.
Ci dimentichiamo che il punto di partenza è sempre lo stesso: l’uomo, che rimane centrale anche quando è considerato solo come il consumatore del mondo tecnologico.
Giuliano Noci, professore di Strategia & Marketing presso la School of Management del Politecnico di Milano
«Ma ci dimentichiamo che il punto di partenza è sempre lo stesso: l’uomo, che rimane centrale anche quando è considerato solo come il consumatore del mondo tecnologico. Un mondo dove, tuttavia, il 90% delle scelte è di natura emozionale». A dirlo è Giuliano Noci, professore di Strategia & Marketing presso la School of Management del Politecnico di Milano e autore del libro Biomarketing (Egea). Con questo termine, Noci cerca di spostare un po’ più in là la frontiera delle ricerche di mercato: non solo freddi dati che riducono il consumatore a una semplice catena di impulsi, ma un aspetto più generale e ampio sull’inclinazione umana all’acquisto. «Il biomarketing è sostanzialmente una piattaforma che mettendo al centro l’uomo allarga i parametri solitamente considerati per analizzarne il comportamento, focalizzando la propria attenzione sulle sue risposte non verbali», spiega Noci. Sudorazione, palpitazioni, tic motori, ritmo di respirazione sono solo alcuni dei criteri con cui chi si occupa di biomarketing cerca di arricchire il senso del rapporto fra cliente, tecnologia e prodotto.
Per riuscirci, nel suo libro Noci propone quattro punti cardinali con cui seguire la rotta verso la nuova frontiera del marketing. Primo punto: il venir meno della differenza fra spazio fisico e digitale in una dimensione phygital (dall’unione di physical e ditigal). Per il consumatore che vive nell’era digitale esiste un unico piano di interazione con la marca che si attua attraverso diversi canali, ma senza soluzioni di continuità. Seconda indicazione: la rilevazione dei dati è diventata imprescindibile per ogni buona campagna di marketing, ma la carta vincente è la capacità di integrarli e intrecciarli. Il terzo punto cardinale proposto da Noci riguarda il tempo. Detto altrimenti, progettare l’interazione per il consumatore nel tempo (la relazione) e nei tempi giusti (la singola decisione) rappresenta uno degli elementi salienti del fare marketing in un contesto contraddistinto sempre più da entropia informativa e da una pluralità di punti di contatto. Infine, bisogna allargare la prospettiva verso ecosistemi digitali intesi come contesti più ampi e dinamici del classico binomio prodotto-settore a cui siamo abituati.
Le emozioni sono importanti. Perché quello che conta non è più il “che cosa” ma il “come”, le relazioni.
Giuliano Noci, professore di Strategia & Marketing presso la School of Management del Politecnico di Milano
«Le emozioni sono importanti», sintetizza Noci, «e così lo è la marca che ha la funzione di delega fiduciaria di un’azienda. Perché quello che conta non è più il “che cosa” ma il “come”, le relazioni. Prendiamo Amazon,per esempio: con il suo marketplace virtuale è diventata amica del consumatore, la sua comfort zone, e un prodotto che tutti cercano per la relazione che instaura attraverso i servizi che offre». Insomma, quello che conta è il modo in cui un’azienda interagisce con il proprio cliente. Ma quali sono gli strumenti per realizzare tutto questo? «Si tratta di una duplice prospettiva: da un lato, bisogna lavorare sul lungo periodo per costruire una storia che sia utile al consumatore (storydoing, ndr) in una prospettiva di intimità collettiva con la comunità di riferimento; dall’altro, bisogna agire sul breve periodo massimizzando i punti di contatto fra cliente e marca». In altre parole, una volta che un brand ha conquistato il suo posto nella mente del consumatore, la relazione successiva deve passare attraverso dei love times, come li definisce Noci. Ossia, momenti di interazione che spingono la conversione dall’interesse all’acquisto. A tutto questo rispondono gli strumenti del biomarketing.
Ma che posto occupano discipline come questa all’interno del mercato italiano? «C’è ancora un ostacolo culturale da superare», risponde Noci. «La marca mette ancora al centro il prodotto e non il cliente. Un atteggiamento che ha a che fare con la storia delle aziende e la loro produzione di valore. Mentre l’innovazione passa attraverso un ribaltamento della prospettiva». Non solo: «C’è anche una questione di competenze. Nel nostro Paese c’è un ritardo relativo sia alla diffusione delle competenze digitali, sia alla presenza di data scientist. In generale, inoltre, c’è una sottovalutazione delle competenze necessarie al marketing: non si tratta solo di applicare gli strumenti necessari per ottenere una serie di dati, ma di elaborare quest’ultimi per ottenere informazioni sul comportamento delle persone in un contesto».
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