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Uno studio usa i salari ricevuti da chi prepara i Big Mac per confrontare il costo del lavoro a livello globale. Le diferenze tra paesi ricchi e poveri sono ancora forti, ma in diminuzione.
Un Big Mac di McDonald’s contiene ventinove grammi di grasso e una quantità incredibile di preziose informazioni economiche. Dal 1986 l’Economist usa l’onnipresente panino per costruire l’indice Big Mac, un metodo artigianale per valutare il rapporto tra le diverse monete. Ora la mania dell’economia a base di hamburger si sta diffondendo. In un studio realizzato per lo statunitense National bureau of economic research, gli economisti Orley Ashenfelter, della Princeton university, e Stepan Jurajda, dell’Università Carolina di Praga, hanno usato il Big Mac per analizzare i divari economici tra i diversi paesi. Come l’indice Big Mac, il loro lavoro si basa sulla teoria della parità dei poteri d’acquisto (ppa), secondo la quale i tassi di cambio tra le varie monete dovrebbero variare in modo che un paniere di beni abbia lo stesso prezzo ovunque. Ashenfelter e Jurajda si sono concentrati sul Big Mac, perché il panino ha più o meno gli stessi ingredienti in tutto il mondo ed è prodotto secondo un procedimento standard. I due economisti hanno raccolto dati sull’andamento dei salari pagati da McDonald’s (la McPaga) e dei prezzi dei Big Mac.
Lo studio è cominciato nel 1998 in tredici paesi, ma in seguito è stato esteso sino a comprenderne 60. Convertendo le McPaghe in una moneta comune, si ottiene un quadro molto chiaro delle diferenze internazionali del costo del lavoro per mansioni semplici e ben definite. Le McPaghe sono uguali nei paesi ricchi (solo nell’Europa occidentale sono un po’ più alte a causa delle rigide leggi sul minimo salariale), mentre nelle economie emergenti vanno dal 32 per cento del livello statunitense registrato in Russia al 6 per cento dell’India. Ma dividendo la McPaga per il prezzo locale del Big Mac si ottiene l’unità di misura che gli autori chiamano Big Mac per ora lavorata (Bmph). Questo valore permette di effettuare un confronto basato sul salario reale, cioè un salario che tiene conto del prezzo dei beni.
I lavoratori delle economie meno produttive hanno paghe più basse, ma è anche vero che la produzione dei loro Big Mac costa meno. Il divario di benessere tra i lavoratori dei paesi ricchi e quelli dei paesi poveri, infatti, risulta meno ampio se si considera il salario reale. In Cina, per esempio, la McPaga corrisponde all’11 per cento di quella statunitense, ma il salario reale basato sul Bmph indica che la differenza è inferiore. Il Bmph annulla anche il vantaggio ottenuto dai lavoratori dell’Europa occidentale con il minimo salariale.
I fast food evidenziano gli ampi divari di produttività e ricchezza a livello globale, ma dimostrano anche che le distanze si sono ridotte. Tra il 2000 e il 2007 la McPaga statunitense è aumentata del 13 per cento, mentre il prezzo del Big Mac ha subito un’impennata del 21 per cento, provocando un crollo netto del 7 per cento dei salari reali basati sul Bmph. Nello stesso periodo Brasile, Russia, India e Cina – il gruppo di paesi emergenti denominato Bric – hanno registrato progressi, visto che lì le McPaghe sono aumentate più rapidamente del prezzo del Big Mac. Il Bmph si è impennato del 53 per cento in India, del 60 in Cina e del 152 in Russia, un’economia in ripresa dopo la crisi finanziaria del 1998 e dove la crescita è stata fin da allora lenta. Negli ultimi anni c’è stata un’inversione di tendenza. Tra il 2007 e il 2011 la Russia e la Cina hanno continuato a registrare miglioramenti, ma gli altri paesi hanno rallentato, perché i prezzi del cibo sono saliti più in fretta delle McPaghe. E i dati che saranno raccolti la prossima estate potrebbero indicare un’ulteriore frenata. Una brutta notizia per i paesi emergenti che ancora aspirano a una qualità migliore della vita.

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