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Italo Calvino – definito da un articolo della Harvard University Press “Uno dei migliori storyteller del mondo” – morì com’è noto alla vigilia della sua partenza per la celebre università d’oltreoceano, dove avrebbe dovuto tenere le sue “Lezioni americane”, pubblicate postume con il titolo “Six Memo for the Next Millennium” (*). Il libro rappresenta probabilmente la vera eredità dello scrittore: vuoi perché scritto nell’ultimo mese di vita, vuoi perché – indirizzato agli uomini di domani – riassume quei valori universali da Lui ritenuti essenziali per garantire la sopravvivenza delle generazioni future.
Le lezioni di Calvino avevano ovviamente come oggetto la letteratura, che era la materia della quale il maestro si sentiva più a suo agio a parlare: la necessità di “leggerezza” nello stile, di “rapidità” nel saper combinare azione e contemplazione, di “esattezza”, ovvero chiarezza e precisione linguistiche, di “visibilità”, cioè – nell’accezione che ne da Calvino – di usare l’immaginazione visiva per conoscere il mondo, di “molteplicità”, o abilità di partire da un punto specifico per includere nel panorama del racconto orizzonti sempre più vasti, e – infine – di “coerenza”, capitolo rimasto incompiuto e sul contenuto del quale i filologi hanno potuto solo tentare delle ipotesi analizzando i precedenti lavori dell’autore.
Molto è stato scritto sui “Six Memo” combinati alle più diverse discipline, dall’arte contemporanea all’essenza stessa del web – bella a tal proposito una memorabile conferenza di Nico Tanzi, comunicatore della televisione Svizzera – ma non mi risulta che quei sei concetti chiave che Calvino ci suggeriva di portare nel secolo successivo come “valori guida” siano stati applicati a riflessioni sulla gestione della reputazione e sulle modalità di interazione che legano la Corporate Social Responsibility (CSR) con il mondo del web 2.0.

Lightness. Esiste un’“estetica” della CSR? A mio avviso sì, e mai come nella responsabilità sociale d’impresa l’estetica – per citare Baumgarten – è sorella della logica: “togliere peso” – o meglio, togliere pesantezza – al messaggio è davvero vitale, ed è una chiave per garantire il successo di un progetto di CSR. Pochi fronzoli, ritorno all’essenziale, un approccio quasi impalpabile – siamo o no nel secolo del virtuale e degli scenari “liquidi”? – con lo scopo di far interiorizzare il nostro DNA ad altri soggetti in modo semplice, naturale, senza forzature. Niente vaghezza, niente superficialità, niente frivolezza, bensì una sobria contaminazione di valori raggiunta attraverso una precisione “leggera” ma non per questo meno consapevole.

Quickness. Se consideriamo che l’opera di Calvino data 1985, e che internet all’epoca pur esistendo già nelle università – la prima pubblicazione scientifica con oggetto il web è “On-line man computer communication”, del 1962, e il progetto Arpanet prende il via nel 1969 – era lontanissimo da essere la piattaforma orizzontale e democratica di accesso all’informazione che conosciamo oggi, le parole dello scrittore prendono nella seconda Lezione toni quasi “profetici”. Rapidità, intuizione, capacità di sintonizzarsi velocemente con i frequenti cambiamenti di stato dell’ambiente che ci circonda, abilità di collegare punti dell’equazione apparentemente lontani tra loro: sono tutte caratteristiche che devono comporre la “cifra” di un buon comunicatore, specie quando tratta temi eticamente sensibili quali sono quelli propri della CSR. Calvino in quella Lezione cita però anche André Virel, lo scrittore ed antropologo francese, anteponendo a Mercurio, il Dio della comunicazione e della velocità, Vulcano, Dio che forgia il metallo con la forza, come richiamo alla necessità di far sedimentare i pensieri prima di condividerli – velocemente – nelle reti neurali delle quali siamo tutti parte e protagonisti. I due opposti sono fasi antitetiche ma complementari dello stesso processo, specie nella CSR veicolata sul web 2.0: la leggerezza nella forma e la rapidità nella trasmissione non devono far abdicare alla consistenza del messaggio.

Exactitude. In questa lezione Calvino più che mai si concentra sulla forza della parola e sulla crescente banalizzazione del linguaggio. Le parole – aggiungo io – sono come un abito che dà forma ai nostri pensieri e ci permette di stabilire una nostra pedagogia, di decidere come desideriamo essere percepiti all’esterno, da chi ci circonda, dagli stakeholder con i quali inevitabilmente entriamo quotidianamente in contatto. Quanto poi la forma può essere distante dalla sostanza? Ricordo le lezioni della mia psicologa, quando mi spiegava che all’inizio di ogni depressione sub-clinica vi sono spesso spunti narcisitici che si traducono nella costruzione di un’alta considerazione di noi distonica rispetto alla realtà. Ebbene, questa lezione, questa consapevolezza, dovrebbe anche essere al centro dell’azione di ogni buon crisis manager, e tutti sappiamo quanto c’è bisogno di crisis management preventivo sul web 2.0, per un’intelligente gestione della reputazione, in particolare quando si trattano temi delicati quali sono spesso quelli legati alla CSR: costruire l’identità di un’azienda sovra-enfatizzando gli aspetti positivi, dandosi una mano di verde perché essere “ecò” orienta in modo più efficace i comportamenti di acquisto, senza accompagnare questo genere di marketing con una genuina iniezione di consapevolezza circa le criticità del nostro “essere” e delle relazioni che abbiamo costruito con i nostri pubblici influenti, è ciò che di più pericoloso possa fare un manager in termini di rischio assoluto per il valore degli azionisti.

Visibility. Italo Calvino in questa lezione pone – tra le altre cose – l’accento sulla crescita esponenziale dell’importanza del ruolo delle immagini nella civiltà contemporanea: nuovamente predittivo come pochi altri, se consideriamo che ancora non esisteva Youtube. Le statistiche dimostrano poi che ancor più dei video – che richiedono già l’impegno di un “click” e del tempo necessariamente dedicato a guardarli – su Facebook il maggior grado d’interazione possibile con l’utente si ottiene attraverso le immagini fotografiche. Ben combinate con un wording adeguato, aggiungo io. Certamente in un progetto di CSR veicolato sul web le immagini hanno un ruolo fondamentale, insostituibile, e una riflessione s’impone in generale sulla scarsa capacità di professionisti e aziende di trasmettere con efficacia la propria identità attraverso le immagini: La pubblicità usa da sempre potenti immagini per condizionare il “consumatore”, ma le relazioni pubbliche, la CSR, lo storytelling, toccano corde ben più profonde che non il condizionamento del processo mentale che porta banalmente a un acquisto, e questi confini – che hanno a che fare con la capacità di generare emozione, empatia, di “farmi sentire con” un brand – sono a mio avviso ancora troppo poco indagati in ambito professionale.

Multiplicity. In questa lezione l’autore cita il suo collega scrittore Carlo Emilio Gadda, noto per un approccio alla scrittura che dal particolare si estende a orizzonti sempre più vasti, attraverso una rete di relazioni costruita in modo da ricordare – diremmo ai giorni nostri – un internet letterario. Scrive Calvino: “Chi è ognuno di noi se non una combinatoria di esperienze e informazioni, che può essere rimescolata e riordinata in tutti i modi possibili?”. Proseguendo nella nostra analisi comparata tra letteratura e linguaggi della CSR e del web, non possiamo non notare come i digital media e i social network in particolare siano parte di una rete che fa della molteplicità una vera e propria keyword: come piccole parti di una grande mappa degli stakeholder, nella quale ogni elemento è fortemente interconnesso con tutti gli altri che lo circondano, dovremmo riflettere più incisivamente – nell’immaginare, scrivere ed attuare le nostre strategie di comunicazione – sugli effetti concreti che le nostre azioni hanno sugli stakeholder dei nostri stakeholder, dal momento che siamo agenti attivi in una rete neurale molto più ampia di quanto normalmente sospettiamo.

Consistency. La moglie di Calvino ricorda come il titolo originale della sesta e ultima lezione – mai terminata, ci restano solo alcuni appunti dello scrittore – avrebbe dovuto essere “Openness”, da tradursi non tanto e solo come “franchezza”, bensì come apertura mentale, ovvero disponibilità a includere nel proprio mondo “cose altre”. Probabilmente Calvino – in ossequio a una delle possibili traduzioni del termine consistency, ovvero coerenza semantica – desiderava anche enfatizzare la necessità di dare continuità e coerenza al testo ponendo gli elementi della narrativa in relazione l’uno con l’altro, e poi l’insieme del prodotto letterario in relazione con il “sapere” nel quale esso s’inserisce, andando ben al di là del significato sintattico e grammaticale, e analizzando il ruolo dei processi cognitivi delle persone nel momento in cui “danno senso” ai concetti espressi dall’opera letteraria. L’uomo include le opere nel proprio sapere, ma anche le opere in un certo senso includono l’uomo, in quanto la medesima opera – che sia un romanzo, un saggio, un piano strategico di comunicazione, un progetto di responsabilità sociale… – può attivare una serie differente di relazioni all’interno dello spazio di lavoro mentale di soggetti umani diversi.

Quest’ultimo dei Six Memos in particolare mi rimanda prepotentemente al concetto d’interazione 2.0 così tipica nel mondo contemporaneo, che dovrebbe essere parte insostituibile della cassetta degli attrezzi di ogni buon comunicatore, specie quando approcciamo a tematiche importanti quali quelle dell’introduzione di preoccupazioni di carattere etico nella vita d’impresa: è quanto mai necessario sottolineare l’urgenza del passaggio da un’ “erogazione di conoscenza” a una “costruzione condivisa di saperi e di consapevolezza”, diversa a seconda della differente sensibilità dei soggetti coinvolti, del particolare momento storico, del DNA delle aziende direttamente o indirettamente interconnesse in un dato scenario, del capitale umano disponibile, ma sempre orientata ad enfatizzare l’inevitabile ruolo di ognuno di noi – cittadini, professionisti della comunicazione, imprese – nella costruzione di un business dal volto umano e nella “manutenzione” di un mondo realmente a misura d’uomo in grado di sopravviverci.

(*) un particolare ringraziamento va ad Alberto Tedeschi, ingegnere e ricercatore, che – con un SMS inviato dal suo Smartphone – mi ha ricordato l’importanza di quest’opera di Italo Calvino, stimolandomi così a scriverne.

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