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L’associazione Parks descrive l’indice delle aziende che in Italia favoriscono la diversità e i diritti della comunità lgbt. Un termometro che misura quanto le imprese siano inclusive


C’è un indice che misura quanto le aziende italiane siano attente a creareambienti di lavoro rispettosi per i propri dipendenti gay, lesbiche, bisessuali e transgender. Si chiama Lgbt diversity index ed è promosso dall’associazione Parks, nel 2018 per il sesto anno consecutivo. Nel 2013 erano 19 le società che hanno risposto all’appello, sottoponendosi a un questionario che rileva a che punto siano sui temi di inclusione. Oggi sono 61, non solo privati ma anche istituzioni. Come la Banca d’Italia, il Politecnico di Milano, l’università di Torino.

Il questionario fa emergere quanto facciano per il mondo Lgbt. “Ma l’obiettivo è anche quello di far comprendere a che punto sono e dove possono arrivare sulla strada dell’inclusione”, spiega Simona Massei, direttore associato di Parks. “L’ambizione è quella che diventi uno strumento di competizione, dove le aziende mostrino il proprio punteggio. Come succede in altri Paesi, per esempio anglosassoni”.

Il punto sui diritti lgbt in azienda

Su 61 aziende, il 64% ha una politica aziendale di non discriminazione formalizzata che comprende sia l’orientamento sessuale che l’identità di genere. Un buon risultato, davanti a un 10% che ancora non ce l’ha. Otto aziende su 10 si sono adeguate alla legge Cirinnà, ma solo il 54% riconosce totalmente la genitorialità sociale, a fronte di un 15% che lo fa parzialmente e di un 21% che non lo fa.

Meno bene se si parla di possedere linee guida formalizzate per la transizione. Le ha solo poco più di una azienda su dieci (11%). Il 23% non le ha formalizzate e il 66% non le possiede. Nemmeno la metà delle realtà coinvolte fa formazione ai dipendenti sulla diversity legata ai temi lgbt (46%). Anche se sei aziende su dieci hanno un responsabile diversity lgbt. Per quanto riguarda i rapporti nei confronti degli stakeholder, il 41% comunica le politiche e attività sull’inclusione. Solo il 13% pretende che anche i fornitori seguano le stesse politiche di inclusione sul tema. Mentre al 59% non importa.
Per cinque anni abbiamo consegnato il premio alla miglior piccola/media impresa e alla miglior grande impresa”, racconta Igor Šuran, direttore esecutivo di Parks. “Quest’anno abbiamo allargato la prospettiva”. Premiando anche le figure di miglior alleato, miglior network lgbt e miglior Lgbt role model. Colleghi che in azienda si sono distinti, diventando un punto di riferimento per tutti su questi temi. Il riconoscimento per il miglior alleato è andato a Serena Chiama di Sky. Pfizer e Ge&bhge hanno vinto ex aequo il premio per il miglior network. Ad Arianna Forzani di Ibm il titolo di role model. Miglior pmi è Vector, mentre Accenture svetta tra le grandi aziende.

Il caso Vector

Vector è un’azienda attiva nell’import-export con 40 anni di attività alle spalle. Nella sede di Castellanza lavorano 113 dipendenti. È una pmi italiana, che ha fatto del tema della diversità un punto di forza. Dal 2015 è socia di Parks e ha già vinto il premio come miglior pmi nel 2016, prima di replicare quest’anno. “Lavoriamo su due fronti”, spiega Camilla Buttà, diversity inclusion manager e pricing manager della società. “Puntiamo a regolamenti interni che siano sempre più inclusivi. Abbiamo anticipato la legge Cirinnà sui matrimoni, garantendo alle coppie omosessuali gli stessi diritti di quelle eterosessuali. E poi, nonostante non sia passata la legge sulla stepchild adoption, garantiamo ai genitori non biologici o adottivi gli stessi diritti degli altri”.
In azienda la diversità è vissuta a tutto tondo. Non solo lgbt: durante l’anno vengono organizzati momenti, attività, riflessioni anche sulla disabilità, sul mondo femminile, sulla maternità, sulla transessualità. “Non abbiamo transessuali in azienda, ma se dovessero arrivare, troverebbero un regolamento già pronto. Per esempio, possono venire al lavoro vestiti come preferiscono ed essere chiamati con il nome che scelgono, anche se non è ancora sulla carta d’identità”, prosegue Buttà.

Il caso Accenture

Accenture è stata premiata per la prima volta come miglior grande azienda. “Per noi l’aspetto più significativo è quello di investire sulla consapevolezza dell’importanza che riveste creare la cultura di un ambiente di lavoro inclusivo. In questo modo le persone riescono a essere se stesse anche in azienda e quindi a dare il meglio di sè”, precisa Raffaella Temporiti, direttore risorse umane di Accenture Italia. Il percorso passa dalla comprensione, inclusione e valorizzazione delle risorse. Anche attraverso percorsi di educazione, interventi a livello di leadership e messa a fuoco di pregiudizi inconsapevoli, non solo legati ai temi di gender. Ma anche alla disabilità, genitorialità, religione e spiritualità.
Per quanto riguarda l’attenzione al mondo lgbt, Accenture ha messo a punto una serie di iniziative interne rivolte ai 13mila dipendenti che lavorano in azienda. “Organizziamo panel dove colleghi e ospiti raccontano la propria esperienza. Facciamo educazione, per esempio sul tema della transizione di genere, con momenti di accompagnamento ai colleghi che stanno facendo questo percorso. Abbiamo poi adeguato le nostre politiche interne, estendendo tutti i benefit delle coppie etero alle coppie omosessuali”.

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