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Brandtelling. Comunicatore, analista, giornalista: il profilo ibrido dei nuovi cantastorie per comunicare l’innovazione e i valori del marchio e avviare una nuova relazione con i consumatori

Informano, intrattengono, allineano, emozionano. E in fondo rafforzano l’identità, la reputazione, persino il business. Ecco perché le storie sono state sdoganate in azienda. Si tratta di narrazioni fotografiche, frammentate, condivise che fanno la differenza. «Siamo da sempre circondati da storie. Il ruolo del narratore è quello di decriptare la complessità e catturare l’immaginazione proprio attraverso le storie». Così Steve Clayton, chief storyteller di Microsoft al Sole24Ore. Dall’headquarter di Seattle racconta l’azienda guidando un team di venticinque persone. «Ma attenzione. Noi non vendiamo prodotti.  Anche perché oggi il nostro pubblico sempre più sofisticato ignora il marketing tradizionale e si appassiona soltanto alle storie».
 

Identikit dei narratori d’azienda

Connessi, empatici, orientati alla relazione. I nuovi cantastorie d’azienda sono un mosaico di competenze da comunicatori, giornalisti, analisti social, esperti di linguaggi digitali. Profili ibridi specchio di questi tempi liquidi, arruolati sin dagli anni Novanta in Nike e poi in Coca Cola, SAP, IBM, Microsoft, McDonald’s, RedBull e persino alla Nasa. Perché come ha suggerito la testata anglosassone Guardian oggi scienziati e ricercatori devono necessariamente uscire dai laboratori e confrontarsi con gli utenti, diventando narratori.
Queste figure esprimono la mutazione genetica da un modello classico di marketing ad uno inclusivo e allargato. Arrivando a coincidere talvolta con i visionari capitani d’impresa: è questo il caso di Richard Branson per Virgin o di Jack Welch per General Electric. «Oggi quando un consumatore sceglie un brand non partecipa solo al processo di acquisto, ma vive un’esperienza di senso molto più completa e coinvolgente. Ecco l’importanza del brand storytelling. Un fenomeno dovuto all’innovazione tecnologica e anche alla crisi economica. Perché in fondo stiamo ragionando di attività con risorse più limitate rispetto a quelle investite un tempo nella pubblicità tradizionale», afferma Francesco Giorgino, giornalista del TG1 e docente di brand storytelling all’Università Luiss, coautore del volume “BrandTelling” in uscita per Egea. Il manuale è stato scritto con Marco Francesco Mazzù e vede la prefazione di Michele Costabile. Dai video di YouTube alle Stories su Instagram, dai frammenti stilistici della camera company Snapchat ai long-form dei blog aziendali: nascono così nuovi palinsesti social seriali. «Il contatto avviene non più sul prodotto, bensì sui valori. Con una dimensione a medio-lungo termine», precisa Giorgino. È un cambio di baricentro rispetto al passato. Oggi le storie sono per pubblici profilati, coinvolti, raggiunti in mobilità. «In gioco c’è una relazione differente che si sviluppa nel tempo. D’altronde le aziende stanno diventando media company e confezionano contenuti editoriali di informazione o intrattenimento».
 

Le narrazioni del futuro

Siamo di fronte ad una ibridazione di formati che integra online e offline. «Lo storytelling è fondamentale per il business, ma occorre un uso sistemico. Non aiuta solo la reputazione, ma sviluppa il capitale narrativo. Bisogna però attrezzarsi per competere narrativamente con competenze, prassi di lavoro e professionalità specifiche», afferma Andrea Fontana, presidente di Storyfactory. Si tratta di profili professionali in evoluzione. «Gli storyteller vedranno crescere le responsabilità strategiche, occupandosi meno di storytelling e più di storytelling management, ovvero di organizzazione manageriale di esperienze e azioni narrative», precisa Fontana.
E il futuro sarà tanto più efficace se raccontato. Ha fatto il giro del mondo e della rete il recente rapporto McKinsey intitolato “Telling a good innovation story”. Nel documento Julian Birkinshaw della London Business School mette nero su bianco una morfologia della fiaba innovativa. Partendo dal racconto di startup e nuove imprese.
«Il brand storytelling è un’innovazione importante perché segna il trasferimento del focus dal canale al contenuto. E quanto è vero ciò che dice Jordan Bower: il lavoro del chief storyteller è quello di portare alla luce le storie autentiche dell’organizzazione. Non è una questione di stile, ma di sostanza», affermano Carlo Fornaro e Diomira Cennamo, autori di “Professione Brand Reporter” per Hoepli e co-fondatori dell’osservatorio Brand Reporter Lab, presto in uscita con la prima mappatura sul fenomeno.
 

Cantastorie all’italiana

Da noi il processo di inserimento organizzativo è più lento e meno strutturato. «Le aziende italiane non sono ancora media company, cosa che comporterebbe dei cambiamenti organizzativi. Anche se esistono attività di produzione di contenuti di brand non sporadiche», precisano Fornaro e Cennamo.
Tuttavia qualcosa sta cambiando: Oltreoceano il magazine Content Standard ha intervistato alcuni chief storyteller approdati stabilmente nell’organigramma. Tra questi c’è l’italiano Yari Bovalino di Avio Aero, brand italiano del colosso General Electric. «Abbiamo creato questa figura per uscire dal paradigma di comunicazione interna o esterna. Viviamo in un ecosistema talmente complesso e articolato che il dipendente non è più uno stakeholder interno, ma diventa un ambasciatore dell’azienda», afferma Paola Mascaro, VP Communications & Public Affairs General Electric Italia e Avio Aero.
Così la partita si gioca sulle storie delle persone. Efficaci purché siano vere. Perché in una filiera disintermediata solo l’autenticità consente una reale immedesimazione.

LE ESPERIENZE DEI PROTAGONISTI

MICROSOFT Tanti stimoli, le storie catturano attenzione

STEVE CLAYTON – Chief Storyteller della Microsoft

Professione storyteller. In Microsoft un team di professionisti è impegnato a raccontare le storie d’azienda. Coinvolgendo anche i clienti. A guidarli c’è Steve Clayton, chief storyteller. «Creiamo storie all’interno dell’azienda utilizzando diverse piattaforme e strumenti: poster, libri, siti web, video. Tutto ciò per alimentare il cambiamento culturale». C’è poi il fiore all’occhiello: si tratta di Microsoft Stories e del sito Microsoft Life. «Qui vengono condivise storie di clienti e dipendenti. L’obiettivo è contribuire a costruire una storia coerente», precisa Clayton. Un lavoro impegnativo perché l’utente è oggi immerso in una serie di stimoli virtuali. «Siamo in un mondo in cui la nostra attenzione è sempre più sotto attacco e dove il business è più complesso. Ma la narrazione resiste e intercetta interesse suscitando emozioni».
 

AVIO AERO L’immagine dell’azienda nell’ambiente digitale

YARI BOVALINO Chief Storytellel di Avio Aero

È il primo chief storyteller italiano. Viaggia spesso per raccontare al meglio Avio Aero, eccellenza italiana impegnata nella progettazione, produzione e manutenzione di sistemi propulsivi per l’aeronautica civile e militare, oggi appartenente al colosso General Electric Aviation. In Italia l’azienda conta 4.200 dipendenti tra Rivalta di Torino, Brindisi e Pomigliano d’Arco. «Da noi il chief storyteller è un comunicatore con elevate capacità giornalistiche e creative a caccia di contenuti editoriali sull’organizzazione. Le narrazioni che propone sono sfide industriali o tecnologiche raccontate dalle stesse persone che ne sono protagoniste», precisa Yari Bovalino. Una sintesi tra informazione, promozione, intrattenimento con un linguaggio comprensibile. «Le competenze digitali devono essere solide: occorre saper produrre un’immagine contemporanea dell’azienda per tutte le piattaforme».
 

UNIVERSITÀ DI PADOVA L’anima crossmediale della scienza

TELMO PIEVANI – Docente dell’università di Padova

All’università di Padova i comunicatori fanno dirette in live streaming su YouTube e Facebook. La prossima è prevista stasera in occasione della Notte Europea dei Ricercatori, nel palinsesto di Venetonight. Non è la prima volta. La redazione de “Il Bo Live”, giornale dell’Università di Padova, intervista ricercatori, studenti, docenti, cittadini: l’ateneo informa e dialoga, puntando sulla crossmedialità per raccontare la scienza. «È un esperimento per affrontare la sfida più difficile di questi giorni: selezionare le notizie, lavorando scientificamente e adottando linguaggi innovativi», afferma Telmo Pievani, direttore responsabile de Il Bo Live e ordinario di Filosofia delle scienze biologiche. La redazione è composta da 20 persone, tra cui 7 giornalisti. Alla redazione si aggiungono quattro persone per la grafica e il photoediting e tre webmaster.
 

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