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Luca Poma intervista Andrea Stanich, Direttore creativo dell’agenzia di pubblicità che promuove il marchio Ceres on-line.
 Ceres ha uno stile di comunicazione tutto suo. Qual è la cifra del vostro lavoro, che vi distingue dagli altri?
Quello che ha funzionato molto bene – e che sta tuttora funzionando sui canali social di Ceres – è stato il mettersi a tavolino e studiare un “personaggio”, trasformare quelli che sono i valori, le caratteristiche del brand, in qualcosa di diverso, cioè quasi nelle caratteristiche di una “persona”, un personaggio narrativo. Questo personaggio noi lo definiamo “un eroe senza gloria”, quindi è un personaggio che ha una certa spregiudicatezza, un po’ di irriverenza, è sicuramente audace, e ha anche un occhio al divertirsi. Insomma: c’è una vera e propria “carta d’identità”, declinata su diverse caratteristiche, che rende questo personaggio per noi abbastanza tangibile, esattamente come nella narrativa, quando il personaggio vive di vita propria. Il tutto concordato con Ceres – ovviamente – che è un Cliente molto aperto e per certi versi illuminato, e ci ha dato modo di non porre limiti preordinati su ciò che il personaggio potesse andare a dire o a raccontare. Un altro elemento di successo è stato l’aver presidiato per la prima volta alcuni territori che appartengono agli interessi delle persone, ma che altri brand non avevano mai cavalcato; un esempio su tutti è la politica – area assai delicata – sulla quale Ceres è però entrata più volte, in modo credibile, grazie appunto a questo progetto articolato di narrazione.
Non avete quindi avuto paura di affrontare temi “delicati” …
Ci rivolgiamo a un target molto specifico di persone, lavorare sui social sicuramente ti dà la possibilità di parlare con un pubblico abbastanza evoluto. Nella comunicazione pubblicitaria tradizionale ci sono tante paure, vincoli, scrupoli, anche legati ai grandi investimenti, per cui a fronte di un grande investimento hai paura di dire una cosa che sia anche soltanto leggermente criticabile. Fai in fretta a sbagliare, e se sbagli paghi un prezzo alto: una campagna che naufraga, nella comunicazione convenzionale sono tanti soldi gettati via. Sul digital, ovviamente, non hai questi vincoli, e inoltre c’è un dialogo quotidiano con le persone, che ti porta a capire sempre meglio quello che “ti puoi permettere” di dire, e quello che invece dovresti evitare, e soprattutto quello che è rilevante e quello che interessa alle persone. Ma non finisce qui: dirò una cosa banale, ma una volta che hai pubblicato un post divertente, furbo, intelligente, che fa parlare e che stimola, devi continuare a coltivare la conversazione e costruire un dialogo quotidiano con gli utenti, personalizzandolo di continuo…
Voi siete in presa diretta su tantissimi fatti quotidiani, avete una rapidità di risposta incredibile. Che modello adottate internamente?
Abbiamo un modello abbastanza flessibile, in Agenzia tutti conoscono bene Ceres e quel personaggio, per cui anche le persone che magari non lavorano direttamente sul brand contribuiscono in qualche modo a dare degli stimoli. Uno che magari non lavora specificamente sul brand, dice: “ragazzi, è successa questa cosa, e questa cosa la potrebbe dire Ceres…”. C’è un nucleo di persone che lavorano direttamente sul brand, ma la nostra modalità di lavoro, come Agenzia medio-piccola, ci dà la possibilità di essere davvero flessibili. La tempestività è anche facilitata da un rapporto con un tipo di Cliente che io francamente in tanti anni di lavoro ho incontrato poche volte, sia in termini di fiducia sia in termini di rapidità del feedback, cosa che si rivela davvero cruciale.
Voi vi distinguete da Heineken e da altri players per un modo di fare che è diventato come abbiamo detto “la cifra” di Ceres sui digital. Questo modello di lavoro e questo imprinting non sarebbe replicabile automaticamente in altri casi? O è il brand Ceres che ha connotazioni un po’ specifiche e particolari?
E’ un punto di domanda per certi versi anche per noi, però credo che Ceres si trovi in una situazione particolarmente fortunata: è un brand danese, che però ha una fortissima autonomia sul mercato italiano, quindi diciamo che prende un po’ il meglio dell’apertura di una multinazionale e il meglio del fatto di poter avere la libertà di essere molto “local”, che è una cosa che ad esempio Heineken non ha e che non avrà mai, perché i brand che sono molto legati ad una comunicazione “global” difficilmente possono essere così reattivi sul locale. Oggi Ceres vanta molti tentativi d’imitazione, alcuni anche piuttosto ben riusciti. Sono convinto che tutti i brand possono diventare degli interlocutori social credibili: certo, una birra ha più appeal di una fabbrica di bulloni o di una scopa per pulire i pavimenti, ma tutti i brand hanno questa potenzialità. Devono però cercare di costruire un personaggio coerente con quello che fanno, con se stessi e con il proprio pubblico. Quale che sia il “loro” personaggio, non è detto che debba essere per forza super audace o super provocatorio… La sfida vera non è essere particolarmente dissacrante o graffiante a tutti costi, bensì è quello di cercare di essere “rilevante” perlomeno quanto tutti gli altri messaggi che si trovano sulla wall di una persona, e per farlo bisogna avere delle idee che interessino realmente le persone.
Tre post che ti vengono in mente, che ti sembrano particolarmente riusciti, o che hanno ottenuto più attenzione…
Io sono molto legato al primo post veramente di rottura che abbiamo fatto, quello che ci ha lasciato a bocca aperta per i risultati che ha dato. Mi sembra fosse del 12 febbraio 2015, occasione in cui i tifosi del Feyenoord hanno devastato piazza di Spagna e hanno fatto danni alla Barcaccia, lasciando centinaia di bottiglie di birra galleggianti. Noi, il giorno dopo, uscimmo con quella foto, e un titolo che diceva: “Se non sapete bere statevene a casa”, il che per chi vende birra non è proprio così scontato. In quel caso ci stupimmo anche noi, perché il counter dei like cominciò veramente a impazzire, e quel post a tutt’oggi è uno di quelli che ricordiamo con più divertimento. Poi il Festival di Sanremo, è stato un evento che ci ha davvero regalato moltissime soddisfazioni quest’anno, perché è stato il primo vero evento che noi abbiamo fatto su Twitter, canale che avevamo aperto da pochi mesi. E #SanremoCeres” è stato il quinto hashtag più utilizzato delle serate di Sanremo. E’ stata anche una grandissima fatica, perché in quei giorni siamo stati attaccati ai computer a Sanremo veramente dalla mattina presto fino alle tre di notte, senza sosta, facendosi venire in mente storie, battute… però è stata un’esperienza davvero fantastica: un balcone accanto all’Ariston sulla cui ringhiera – diventata la nostra bacheca social! – appendevamo i tweet più intriganti che circolavano in quel momento in rete, con il risultato di un cortocircuito on-line/off-line, perché poi le persone da sotto fotografavano e rimettevano in rete… Infine, la terza cosa a cui siamo molto legati, è quella per il Gay Pride dell’anno scorso, dove Ceres ha accettato di distribuire alla parata del Pride romano una bottiglia completamente senza brand, unbranded, soltanto con un collarino che diceva: “No alle etichette”. È stato un messaggio forte, che ci è piaciuto dare, ed è stata di nuovo un’operazione che ci ha regalato delle grandi soddisfazioni, perché abbiamo visto un nostro gesto ripreso, fotografato e rilanciato sui social. Noi poi crediamo molto che a un certo punto che tutto quello che fai sul digital debba avere degli appuntamenti diciamo “off-line”, calati nella vita delle persone, sulla strada, sul territorio, dove le cose succedono realmente. Perché quando i pixel si trasformano in qualcosa di più concreto, dai testimonianza di quello che stai facendo sulla rete. E mantenere il contatto con la realtà è veramente fondamentale per chi fa il nostro lavoro.

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