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Un decalogo di possibili scelte per evitare, ridimensionare o tentare di risolvere lo scandalo che ha investito il colosso automobilistico di Wolfsburg
  1. LA REAZIONE A CALDO. Ceo, Direttore CSR, o azienda in generale, il punto di vista non cambia: sarei stato reattivo, diretto, immediato, autentico e inclusivo verso le esigenze di trasparenza del mercato e dei Clienti, ben consapevole che il valore economico più importante al giorno d’oggi – anche in borsa – è quella della Reputazione.
  2. MALATTIE CONTAGIOSE. Sarei stato consapevole che la “divaricazione identitaria” è una malattia peggiore dell’influenza spagnola. Essere in cima alle classifiche della CSR e vantare la costante introduzione di preoccupazioni di carattere etico nel business, e nel contempo truffare i Clienti o comunque deluderne le aspettative, è innanzitutto pericoloso per l’azienda stessa e per il brand, e rischia di pregiudicare le vendite e quindi gli interessi degli azionisti. Anche la “schizofrenia” è una brutta malattia: non avrei mai permesso l’esistenza di “due Volkswagen”, un team impegnato in progetti “green” e uno impegnato a fare l’esatto opposto, ovvero alterare i dati delle emissioni e permettere un inquinamento maggiore, toccando da vicino una tematica giustamente così “sensibile” qual’è il futuro del Pianeta
  3. LA POLITICA DELLO STRUZZO, O DELL’ECCESSO DI “TIMIDEZZA”. Quando nel 2014 l’UE lanciò i primi allarmi, pubblicando un report che metteva in discussione le policy di VW sull’inquinamento e, sollevava questioni delicate e potenzialmente dirompenti, e poneva ombre sull’operato dell’azienda, avrei – già all’epoca – organizzato risposte pubbliche, creando un vero e proprio team di lavoro per gestire la crisi, e preparandosi in quello che era ancora “un tempo di pace” a governarla al meglio, in modo proattivo, senza attendere affatto che scoppiasse lo scandalo. Avrei inoltre collaborato attivamente, fin da allora, con le Istituzioni di controllo, documentando tutto in modo molto rigido e trasparente, sulla base di una road-map condivisa con le autorità, e rendicontando gli stakeholder di ogni progresso
  4. E’ COLPA DI TUTTI/NON E’ COLPA DI NESSUNO. Già all’epoca, avrei mosso contestazioni scritte ai dirigenti implicati in questa vicenda, eventualmente prendendo provvedimenti disciplinari fino al licenziamento, perché farlo ora, fuori tempo massimo, e solo sotto pressione dell’opinione pubblica, ha molto poco valore
  5. I BASIC DELLA COMUNICAZIONE DI CRISI. A scandalo deflagrato, avrei aperto al massimo i megafoni della comunicazione, dialogando in modo multicanale e multistakeholder, piuttosto che costringere i mass-media e i cittadini interessati a “rincorrere le notizie”, invece che ascoltare la voce dell’azienda, che è rimasta confinata in pochissimi comunicati “tradizionali” in lingua inglese o peggio ancora in tedesco, e quasi totalmente assente sui Social media VW
  6. CAPITANO AL COMANDO/EFFETTO SCHETTINO. Fin dal momento della mia assunzione come CEO, avrei fatto in modo che la mia buonuscita fosse contrattualmente articolata in due pilastri ben separati, uno agganciato all’incremento delle vendite durante il mio periodo di governo strategico dell’azienda, comunque dovuto, e l’altro di “liquidazione” in senso stretto, agganciato al buon fine del rapporto. In caso di mancato buon fine del rapporto – come in questo caso, dal momento che la remissione della delega è stata causata da uno scandalo di inaudite dimensioni – avrei di mia iniziativa, d’intesa con VW, rinunciato alla seconda voce di incasso, sia per permettere all’azienda che mi ha dato da mangiare per anni di spendersi positivamente la cosa sui mass-media, sia perché anche la mia di reputazione ha un valore. E in ogni caso, se avessi fatto tutto quanto è elencato dal punto (1) al punto (8), avrei comunque chiesto pubblicamente agli azionisti e al mercato una licenza temporanea di operare per tutto il periodo di gestione dello scandalo, perché un Comandante onesto non abbandona la barca al proprio destino nel pieno della tempesta, tanto meno dopo essersi incassato una valanga di soldi
  7. DA DOMANI (ANZI, DA OGGI). Il modello per VW dovrebbe essere Barilla (*): come trasformare una crisi in un opportunità, soprattutto di crescita interna. La CSR o è pervasiva in tutti i processi aziendali, o è solo marketing e non è CSR. VW dovrebbe quindi “ascoltarsi”: mapparsi culturalmente, identificare le criticità interne – soprattutto di processo – e avviare un percorso di change management serio, condividendo ogni passaggio con i suoi stakeholder tramite una dashboard, un cruscotto di indicatori costruito appositamente per quest’occasione, aggiornato frequentemente e accessibile da chiunque, Clienti del marchio ma anche semplici cittadini, che sono tutti clienti potenziali.
  8. RITROVARE L’ORGOGLIO. VW – oltre al capitale di innovazione – ha “bruciato” capitale umano come mai prima nella propria storia: oggi probabilmente non è molto bello lavorare in Volkswagen. Scherno, attacchi, derisioni, facile ironia, insulti, critiche. Se l’uomo è veramente “al centro”, come recitano tutti i buoni manuali di CSR, quest’aspetto non può essere ignorato, e un piano specifico su queste tematiche andrebbe immaginato e immediatamente avviato, senza alcun ritardo
  9. IMPOSSIBILE IL PERDONO… SENZA “AMMENDA”. Il gruppo di Wolfsburg dovrebbe a propria cura e sotto il controllo di una commissione indipendente “quantificare” il danno che ha creato, con più precisione possibile. VW non ha danneggiato solo i propri azionisti, ha danneggiato il pianeta – con le sue maggiori e incontrollate emissioni – quindi tutti noi, e noi vogliamo essere “risarciti”. L’azienda deve “rimborsare” al pianeta il proprio debito verde: dovrebbe istituire un apposito fondo, con adeguate dotazioni finanziare, e sostenere ad esempio la start-up universitaria “Spin8” (**) o altri progetti simili in UE e USA.
  10. REPETITA IUVANT. Forse non sono stato abbastanza chiaro, è opportuno ripeterlo: sarei stato reattivo, diretto, immediato, autentico e inclusivo verso le esigenze di trasparenza del mercato e dei Clienti.
(*) il riferimento è alla nota crisi reputazionale che ha investo la multinazionale italiana dell’alimentare a seguito delle dichiarazioni del Presidente Guido Barilla sulle coppie di fatto e sulle famiglie gay, e al rapido ed efficace progetto di “recovery” che ha portato Barilla ad essere una best-in-class nella valorizzazione delle diversità all’interno dell’azienda
 
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