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Quello che facciamo al mondo fuori è collegato anche al benessere del nostro mondo interno, e l’ambiente in cui viviamo è un fattore determinante per come ci sentiamo a livello psicologico. Pensiamoci un attimo: sentire un senso di oppressione interiore è abbastanza comune quando ci si trova in città, imbottigliati nel traffico, mentre fare una passeggiata in mezzo al verde spesso porta serenità e armonia. Se questo è solo uno un piccolo esempio, c’è tutta una branca della psicologia applicata che valorizza i legami tra ambiente esteriore e ambiente interiore, tra la connessione che abbiamo con la natura e quella che sentiamo con il nostro io.
L’ecopsicologia è nata in California negli anni ’90, ed è poi stata portata in Italia da Marcella Danon, psicologa e fondatrice di Ecopsiché, una vera e propria scuola per studiare questi temi e apprendere pratiche di “sintonizzazione ecologica”. Da lì sono nati percorsi di formazione, progetti in collaborazione con parchi naturali e istituzioni e anche una nuova professione, quella dell’ecotuner.
“Il termine ecopsicologia nasce nei primi anni ’90 all’università di Berkeley, dove, sulla spinta di  Robert Greenway si incontrano un gruppo di professionisti nel campo della psicologia e dell’ecologia per trovare un denominatore comune tra tante correnti di pensiero simili che stavano nascendo, come l’ecologia transpersonale e la psicologia verde. Fa parte del gruppo anche lo storico della cultura Theodore Roszak, che nel 1992 con il libro The voice of the Earth lancia l’ecopsicologia a livello mondiale”, racconta Danon, che viene a conoscenza della disciplina da un libro di Fritjof Capra pochi anni dopo. “Da lì, avvantaggiata anche dal fatto che io stessa avevo vissuto per un periodo a Berkeley, ho iniziato a prendere contatti a livello internazionale”. Nel 1999 il primo convegno in Italia sul tema, nel 2004 nasce la scuola Ecopsichè, nel 2006, in collaborazione con altri studiosi e psicologi, Danon fonda anche la Società Europea di Ecopsicologia (EES).
Da lì, “sono nati percorsi che, portando le persone in natura, si propongono di facilitare loro la connessione con il proprio mondo interiore e, viceversa, da un processo di maggior introspezione accompagnano a ritrovare un rapporto più profondo con la natura. I campi di azione sono diversi: si va dal lavoro su di sé alla crescita relazionale, dalla pet therapy a un’educazione ambientale di natura esperienziale, da percorsi di progettazione partecipata a nuove forme di organizzazione del lavoro e della vita, in azienda così come negli ecovillaggi, fino alla green mindfulness, in cui la natura diventa facilitatrice di un percorso di ricerca spirituale”.
Il forte impatto della natura sulla psiche è già riconosciuto dalla psicologia ambientale: “Per esempio ci sono studi che hanno dimostrato che i pazienti che dalla finestra dell’ospedale vedono il paesaggio guariscono prima degli altri, o che i bambini che a scuola, negli intervalli, possono giocare in natura sono meno soggetti a problemi di depressione, sindrome da deficit di attenzione, problematiche relazionali e obesità”. L’ecopsicologia ha ampliato questo approccio sia sul versante filosofico che su quello pratico: “Da una parte ha trasformato questi presupposti in un modo di vedere il mondo che abbandona l’antropocentrismo in favore dell’ecocentrismo, e dall’altra si è focalizzata anche su modi concreti di riconnettersi con la natura”.
Nello specifico, per esempio, le pratiche di ecocounseling propongono la natura – un parco, un prato, un bosco – come luogo di incontro per colloqui tra counselor e cliente, tra psicologo e paziente,  in cui c’è un’interazione diretta con l’ambiente: “La natura non fa solo da sfondo, ma offre spunti concreti per la relazione d’aiuto”. Per i gruppi, l’ecopsicologia “crea un’occasione per entrare in natura con una propensione che rende più sensibili e attenti, e allo stesso tempo più rispettosi anche verso gli altri. Anche nelle aziende porto queste pratiche, in percorsi di team building”. Un percorso formativo specifico è dedicato all’ecotuning, ossia la risintonizzazione con l’ambiente naturale, e dunque anche con la nostra parte più istintiva, creativa e spontanea: “E’ come se ognuno di noi fosse un pianeta, di cui frequenta però solo certe zone e strade. L’ecotuning serve a farci capire come possiamo ampliare la conoscenza di noi stessi, facendoci scoprire aspetti spesso trascurati”.
Chi aveva già una preparazione psicologica o un interesse forte per questi temi ha potuto ricavarne una vera e propria professione, per molti è stata l’occasione per unire passioni e interessi diversi: “Una docente dell’università spagnola di Burgos, grazie al nostro corso di formazione professionale, ha creato un percorso di ecoleadership. Una donna ingegnere ambientale ha iniziato a dedicarsi anche all’educazione ambientale dei bambini, una musicoterapeuta ha tratto dall’ecotuning spunti interessanti per il suo lavoro, che ha trovato espressione anche in natura”.
Ma oltre alla formazione, Ecopsiché è attiva anche in progetti istituzionali per lo sviluppo della green economy e la valorizzazione dei territori: “Stiamo lavorando in Sardegna a un progetto finanziato con fondi POR per la formazione ecologica di 15 giovani, che hanno imparato a progettare giardini terapeutici, i cosiddetti healing garden. In Abruzzo con la Comunità Montana e il Centro Servizi volontariato siamo impegnati in un progetto nell’area del sisma che punta a favorire la nascita di start up capaci di valorizzare le risorse naturali, culturali e paesaggistiche del territorio”.

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